Per chi ama la letteratura, scrivere racconti, essere cittadini del mondo e riflettere sulla Settima Arte

giovedì 14 marzo 2013

Argo (2012) by Ben Affleck


Argo (2012)
di Ben Affleck

Ben Affleck (Tony Mendez)
Bryan Cranston (Jake O' Donnell)
Alan Arkin (Lester Siegel)
John Goodman (John Chambers)
Victor Garber (Ken Taylor)
Tate Donovan (Bob Anders)
Clea DuVall (Cora Lijek)
Scoot McNairy (Joe Stafford)


C'è una generazione di attori che hanno vissuto giovanissimi i piaceri della frivolezza opulenta dello star system e della fama planetaria e che, non soddisfatti, hanno scoperto la qualità dell'arte cinematografica per farla propria nel corso degli anni. Che DiCaprio, Matt Damon e altri che negli anni '90 facevano sobbalzare i cuori delle ragazzine si facciano oggi dirigere da Eastwood, Tarantino, Scorsese non è stupefacente. D'altronde a tutti, anche a un cane che sa ben poco delle logiche umane (o forse sa tutto o, meglio, il necessario), piace la qualità, perché tra un disaster movie di Roland Emmerich e anche un Romeo + Juliet di Baz Luhrmann (che rivedremo presto nel nuovo Grande Gatsby interpretato da DiCaprio) la differenza è evidente.

Ben Affleck non è tra i migliori esemplari di quella generazione, almeno nella sua veste di attore. Per più di un decennio ci siamo dovuti sorbire le sue pose monoespressive tra un Armageddon e un Daredevil passando per il Philip K. Dick proposto da John Woo in Paycheck. In parole povere, mai ci si aspetterebbe da uno come lui determinate qualità artistiche.

E invece il buon Ben ha imparato: incipit avvolgente, cura dei personaggi, senso dell'azione, capacità di lasciare lo spettatore costantemente sul filo del rasoio fino a un finale soddisfacente. Il regista Ben Affleck, che peraltro già aveva stupito con l'heist movie The Town (2010), prende un fatto storico di quelli da farti gridare al miracolo e alla meraviglia dell'organizzazione umana e lo mostra al pubblico con una cura dei dettagli sopraffina e un pathos calibrato all'altezza della situazione.

Quasi si stenterebbe a credere che un agente della CIA sia stato realmente in grado, tramite un'operazione congiunta Stati Uniti / Canada, di liberare sei funzionari dell'ambasciata USA a Teheran negli anni '70 dopo lo scoppio della rivoluzione iraniana che portò lo Scià di Persia (che ridusse la popolazione alla fame) a chiedere supporto proprio in America. E mai e poi mai che il cavallo di Troia in grado di aggirare uno stato di polizia, in cui i ribelli finivano impiccati per le vie della città, sia stato proprio il cinema stesso sotto forma di una stramba produzione fantascientifica canadese messa su ad hoc per l'operazione. Perché dopo essere scappati dall'ambasciata, ormai divenuta un bunker di milizia armata e documenti distrutti (e ricostruiti filo per filo dai bambini iraniani), i sei funzionari trovarono ospitalità dal Canada (in ambasciata), paese apparentemente neutrale alla disputa.

L'agente Tony Mendez mette su una finta produzione a Hollywood, falsifica passaporti, si reca a Teheran via Istanbul come cittadino canadese e libera tutti, con finte ricerche di location e altrettanto finti rientri in patria di finti professionisti della Settima Arte canadesi. E fu tutto vero.

Ben Affleck porta lo spettatore a vivere un'impresa insperata trovando tra gli elementi di fiction (bellissimi i titoli di testa disegnati che raccontano il background degli eventi) e realtà storica un compromesso meraviglioso per restituire un'idea di cinema classico che funziona sia come spettacolo che come illustrazione e riflessione su un determinato pericolo storico. Un film oliato, ricco di suggestioni e di snodi narrativi trattati con intelligenza.

Un successo di pubblico, critica, Academy Awards (tre, tra cui l'Oscar per Miglior Film) e Golden Globe. Tutto meritato... e pensare che si tratta pur sempre di Ben Affleck... quando la passione e la bravura scavalcano i pregiudizi.


VP