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giovedì 29 maggio 2014

Maps To the Stars (2014) by David Cronenberg


Maps To the Stars (2014)
di David Cronenberg

Mia Wasikowska (Aghata Weiss)
Julianne Moore (Havana Segrand)
Carrie Fisher (Carrie Fisher)
Robert Pattinson (Jerome Fontana)
John Cusack (Stafford Weiss)
Sarah Gadon (Clarice Taggart)
Olivia Williams (Christina Weiss)
Evan Bird (Benjie Weiss)


Succede, succede spesso. Succede che talvolta i grandi autori debbano sfogarsi dell'ipocrisia dell'industria hollywoodiana che li supporta, della superficialità, dell'opulenza, delle crisi di nervi, della moralità perduta. Così Cronenberg fa il film che mai ti saresti aspettato, non da uno che negli anni '70 nasceva come horrorista corporale, che negli anni '80 quei corpi li trasformava, che nei '90 li duplicava, li deformava con la letteratura o li scalfiva con la tecnologia.

Stavolta i segni sono di un passato turbolento, di un'ustione grave e misteriosa che Agatha si porta dalla Florida verso Hollywood: la vediamo mentre dorme su un pullman scarno, salvo poi prendere una limousine una volta a L.A.. Il suo obiettivo è molto chiaro: vuole intrufolarsi nel giro dei grandi attori che se la spassano tra lussi e arroganze, capaci di sorridere e ignorare il dramma della leucemia di una piccola fan come di aggredire senza ritegno colleghi e maestranze. La volgarità è dappertutto, dalle trattative dei casting allo shopping selvaggio agli aperitivi d'extra-lusso ai fantasmi di un passato che forse reclama l'innocenza perduta. Agatha non cerca la gloria mondana né vuole proporre sceneggiature come l'autista della limo che affitta; cerca la riconciliazione con un mondo che prosegue dritto per la sua strada di patinata e vanitosa inciviltà. Che tu sia un Justin Bieber, la figlia di una defunta gloria del cinema, un predicatore televisivo new age, una scrittrice di best sellers, non puoi sfuggire alla redenzione e alla galanteria di un tempo che mette tutto a posto, anche a costo di sprigionare la sua pura carica di distruzione.

Il film è un mosaico verbale di rapporti (in)umani, procede per singoli tasselli che mano a mano compongono il quadro: ne esce fuori un ritratto di Hollywood potente nella sua convenzionalità e che affoga nel già visto: Bret Easton Ellis, incubi di kinghiana memoria, un Woody Allen che preme forte il pedale della violenza psicologica. I propositi per un'ottimo film c'erano ma il risultato è fiacco e piatto: l'orrore non ha la carica visionaria di Naked Lunch, tutto si risolve in una cattiveria scontata che non lascia spazio al fascino della regia. Tanto che ci si chiede perché l'autore canadese abbia voluto cimentarsi in una sceneggiatura che, pur assistendo il magniloquente cast (prova maiuscola di Julienne Moore), lascia poco all'immagine.

La provocazione è più detta che mostrata; da un film di Cronenberg è difficile accettarlo.


VP