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lunedì 30 luglio 2012

TORINO (20/08/2012)

L'errore più grande per un ragazzo nato e vissuto a Roma è pensare che il nord Italia sia tutto uguale. Vuoi per trascorsi calcistici, vuoi per dialetti che superficialmente sembrano molto simili, vuoi per gli echi di arroganza che dalla tv ci giungono da esponenti politici e culturali di una parte tutto sommato benestante di un paese con molti problemi invece nel meridione.

E così sul treno che porta alla stazione di Porta Nuova, passando per Milano, ci si immagina di essere presto proiettati in ambienti verbalmente ostili, popolato di gente scortese anche quando non vorrebe esserlo e con il mito del soldo facile e di certa posizione sociale.

Presto invece ci si ritrova in un caldo afoso, attorniato di moscerini che si spiaccicano sulla camicia bianca a ogni metro che con fatica si cerca di fare alla ricerca di un autobus per la parte nord della città, che poi si scoprirà pullulante di multietnismo e colori.

Torino non è Milano e anche se la cosa dovrebbe risultare scontata ci viene addosso come una ventata di novità: una scoperta. E questo perché, per quanto abbiamo viaggiato in lungo e in largo per le Americhe, l'Africa, il Medio Oriente e l'Europa occidentale e orientale, della nostra nazione finiamo per essere degli ignoranti. Ignoranti della storia recente di questo paese, della conformazione delle città, del rapporto degli abitanti con il lavoro, le opportunità.

Ci si aspettava un posto leggero, ricco, di razzismo leghista lombardo/veneto, di una classe da Centovetrine, il lunghissimo serial di successo clamoroso che ha spodestato Beautiful nell'immaginario delle casalinghe e che in Piemonte ha quasi rilanciato l'economia.

E invece i negozi attorno al centro storico decorato di bandiere tricolori e di un'italianità orgogliosa hanno i profumi dell'Africa e della Siria. Molta gente di colore parla francese, ricrea a Torino il proprio habitat naturale come i rumeni, i cinesi e altri loro compatrioti riescono a malapena (molto "mala" e tanta "pena") a Roma. E un romano, anche uno di quartiere popolare o piccolo borghese, quasi si mette paura. Chiede alla biondissima receptionist dell'albergo se il quartiere è pericoloso di notte. Lei sorride con molto charme e risponde che non c'è niente da temere.

E infatti così è. E tutto questo perché ancora l'ignoranza portava il romano, a Torino per uno stage di critica cinematografica (il suo sogno nel cassetto), a ignorare per l'appunto che il capoluogo piemontese non solo è stato la prima capitale di questo paese (spodestato poi da Firenze e poi da Roma), ma soprattutto è stato il posto di lavoro e quindi di speranza (quella che oggi manca) per un'intera generazione di meridionali che dalla Calabria, dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Campania finivano negli ingranaggi della catena di montaggio della Fiat. E finivano per tifare Juventus e prendere come simbolo di una ricchezza da sogno e di una personalità reale l'avvocato Gianni Agnelli.

Te li immagini vagare per le strade dei mercati e parlare i loro dialetti con imbarazzo, intere famiglie a trasportare quelle valigie di cartone che tanto rimasero nell'immaginario collettivo del dopoguerra da essere usate anche da mia madre come metafora di un ridimensionamento della mia qualità di vita a ogni desiderio di emigrare definitivamente fuori dalla penisola. Questa gente Torino se l'è presa, se l'è portata dietro, gli ha dato ragioni di vita e la possibilità di tornare giù, agli amati paesi d'origine, con qualche soldino in saccoccia.

Perché Torino ha le spalle grandi, è una città forte. E lo capisci alla vista di un torinese doc che sgranocchia qualcosa al bar cercando di comunicare con un extracomunitario magrebino. Certe cose a Roma non le vedi, perché la Città Eterna, seppur culla del Vaticano e dell'accoglienza cattolica, non è ancora allenata a quei livelli.

Perché dalle discoteche costose, ai picnic notturni al parco, alle bandiere granata e bianconere appese a ogni balcone di ogni palazzo, alle strade popolate di umanità varia si respira l'intento comune di cercare di fare le cose al meglio... per ognuno... e questo fa in modo che questa città altrimenti retorica, debordante di una grandeur nazionalistica quasi fastidiosa, ti sbatta in faccia tante di quelle certezze che per un romano nel tunnel della crisi sono aria pulita e sana.

La Piemonte Film Commission che ospita lo stage di Critica Cinematografica in una struttura unica polivalente (con set, bellissimo cinema interno, agganci con il Museo Nazionale Del Cinema della Mola Antonelliana, un gioiello) è l'ente cinematografico che più di tutti in Italia (insieme forse al suo corrispettivo pugliese) cerca di emulare il paradiso europeo della Settima Arte che è la Francia (per aiuti statali e finanziamenti privati). A Torino si sono girati film ambientati a Milano (Vincere di Marco Bellocchio) e San Pietroburgo (I Demoni Di San Pietroburgo di Giuliano Montaldo) nonché Roma e addirittura l'India.

Nonché quel Così Ridevano di Gianni Amelio che tanto ci raccontava di quelle famiglie del sud degli anni '50 che a Torino ricominciavano da zero con mille problemi. È anche grazie a loro e alle storie che si sono succedute, che oggi un romano conosce una città che si dà da fare... una città che alimenta una speranza: la speranza di un sogno.


VP