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giovedì 27 dicembre 2012

LE CONTRADDIZIONI POST-SOVIETICHE TRA MOLDOVA E UCRAINA MERIDIONALE (27/12/2012)

Mi ci sono voluti cinque mesi, la fine dell'anno e di un dicembre caldo e a volte tempestoso, per sedermi davanti al mio MacBook e scrivere un reportage del viaggio di quest'estate.

Mesi in cui ho rivissuto le mie esperienze come spesso mi capita di fare nel mio appartamento studio dove ho la possibilità di pensare ad alta voce senza essere scambiato per matto; mesi in cui ho raccontato e straparlato di quello che reputo uno dei miei viaggi più importanti per quanto meno significativo di bellezza architettonica e paesaggistica (ma in fondo, ora che ci penso, tutte le ultime vacanze sono tra le più memorabili, anche in negativo), in cui ho ostentato la mia incursione nella terra diplomaticamente ignota della Transnistria con tanto di foto e le mie pose romantiche e commosse sulla scalinata Potëmkin abbracciato a una ragazza.

Per un cinefilo che sacrificherebbe altre quattro vite di precarietà e disoccupazione sull'altare della Settima Arte, Odessa era una tappa fondamentale anche solo per essere lo sfondo di uno dei film amati, di quelli che mi fanno scoprire il fascino della Storia e dei modi di raccontarla con un montaggio che rivoluzionò completamente il linguaggio e l'estetica. E anche solo per non essere banale non voglio citare Paolo Villaggio e tutta la finta leggenda che vorrebbe il capolavoro di Ejzenstein un impossibile polpettone di 18 ore (ma nel film di Salce la voce off di Fantozzi dice 18 bobine) data in pasto all'immaginario collettivo della medio piccola borghesia italica.

Ma non c'è solo questo. Odessa è storicamente la località balneare più gettonata insieme alla Crimea e all'Abkhazia (che però non ne possiedono il fascino storico) del mondo eurasiatico che, in mancanza di soldi a sufficienza e di tempo da sacrificare alla terribile burocrazia per emigrare verso acque più "chiare" e ambienti più cosmopoliti, si riversa sul Mar Nero che sfoggia per l'occasione i suoi passatempi di discoteche all'aperto e spiagge affollate.

Per chi ancora non c'è stato, Odessa si presenta con la promessa di essere una Sopot, un party place slavo del sud, con tanta offerta di divertimento, belle ragazze e atmosfere decadenti che trasudano Storia, quelle che già avevamo amato a San Pietroburgo, Vilnius e Tallinn. Non sarà proprio così, ma andiamo con ordine.

Il modo più semplice e economico per arrivare a Odessa è quello di prendere un volo diretto per la Moldova, che, se non avesse uno stato separatista interno da aggirare per non incorrere a presunte leggende di corruzione di una milizia rimasta ai "bei tempi", disterebbe a linea d'aria appena due ore e mezza di bus. Tutte le altre opzioni (volo per Kiev e connessione via aerea o via terra) sono percorribili ma non vantaggiose sia economicamente (i voli interni ai paesi del CSI sono inspiegabilmente solo a pannaggio degli oligarchi o di chi non si faccia problemi a "regalare" più di 400 euro alle compagnie) che logisticamente per i tempi di scalo o la nottata da passare sul treno.

Sul volo diretto Air Italy per Chișinău (o Kishinëv come riportato dal mio mappamondo degli anni '80 e in tutti i tabelloni delle stazioni russofone) organizzato da Meridiana, pieno di immigrati moldavi che scruto attentamente domandandomi che razza di lavori possano fare in clandestinità in Italia, faccio subito amicizia con una mamma e una teenager, entrambe rosse di capelli e con quegli occhi verdi e quelle lentiggini dolci tipiche della femminilità slava che tanto amiamo. Sono di Cassino, comune di Frosinone, dai loro racconti un posto da evitare come la peste, pieno di gente bigotta e falsa e dallo strano accento; o meglio, la madre è scappata negli anni '90 dalla neonata Repubblica di Moldova e ha trovato marito nel paese dove ancora vive, la ragazza è italiana a tutti gli effetti, non parla una parola di rumeno e, mentre non stacca gli squisiti occhi orientali dal suo iPod Touch, da cui riconosco gli scontri fanta apocalittici di N.O.V.A. Near Orbit Vanguard Alliance, si vergogna come una ladra di essere culturalmente legata a un paese da lei giudicato "del terzo mondo".

Racconto il senso del mio viaggio e subito la discussione si sposta su Odessa: la ragazza, di cui non ricordo il nome mentre la madre si chiama Veronica, c'è stata due volte e alterna il suo aplomb di perenne videogiocatrice a ripetuti sorrisi un po' divertiti, un po' sarcastici, esattamente come farei io parlando a uno straniero di Napoli, della sua bellezza, del suo spirito, della sua pericolosità. E infatti me ne parlano come la "città delle barzellette", un posto pieno di un folklore tutto suo, dove per un visitatore sprovveduto potrebbero esserci problemi. "È una città molto simile a Napoli", mi dice Veronica, che alla fine del volo mi dà un biglietto da visita di una società che non ho capito di che si occupi, con scritta la sua email e con la promessa di aggiornarle sul mio viaggio. Anche la figlia partecipa a questa sorta di bon ton moldavo, ma è chiaro che sia interessata al mio destino come io alla fisica quantistica. E infatti non le ho mai ricontattate.

Appena esco dal terminal con bagagli e tutto, mi scontro con l'aspetto più bizzarro di questo paese che poco mi offrirà a livello di arte e cultura ma tantissimo a livello di sociologia: "che caspio de lingua se parla?". Prima di partire mi ero preparato un frasario rumeno e un altro da usare soprattutto in Ucraina, quando la memoria delle mie lezioni di lingua russa, ulteriore ambizioso fallimento della mia vita, non mi avrebbe assistito. Ma mentre cerco di parlare a un tassista sfogliando nervosamente le pagine del frasario rumeno in cerca dei numeri per contrattare il prezzo, lui mi chiede spiegazioni in russo. Così per 10 euro (troppo) mi faccio accompagnare al bed and breakfast che avevo prenotato al centro della città. Un centro caratterizzato da una di quelle prospettive larghe e lunghissime che non sono mai riuscito a terminare; tutt'intorno, invece, compreso il posto dove ho pernottato, è un "piacevole" via vai di casermoni grigi con "salutari" tetti in eternit racchiusi in piccoli quartieri con un giardinetto in comune dove, mentre cerco spaesato e con le valigie in mano un segno, un simbolo, un graffito (risposta esattaaaaa!) riconducibile al mio bed & breakfast, un gruppo di dieci bambini a petto nudo si passano tra loro un pallone sgonfio e se la ridono di gusto. Per un attimo temo di essere venir derubato da uno di loro ma è solo un'impressione.

Dopo essermi finalmente accomodato e aver posato le valigie, finalmente passeggio per via Stefan Cel Mare, in cerca di soldi da cambiare, subito trovati, e un posto dove mangiare, ma per il momento opto per uno di quei coni gelato giganteschi confezionati con la montagnetta di cacao sopra: in pratica l'unione di un Cornetto Algida e un Sansoni, già ne avevo mangiati svariati a Kiev, presi da quelle bancarelle che anche in Moldova si trovano numerosissime per tutto il lato della strada principale. Che razza di business: vendono Coca Cola, Fanta, acqua minerale originale... le marche dei loro gelati, però, non l'ho mai trovate in nessun bar "ufficiale". Credo che li producano aziende particolari, non riconosciute dalla grande distribuzione nazionale eccetto quella dei mercatini e della vendita di strada.

Sotto un caldo tropicale (31 gradi) mi addentro ancor di più nelle contraddizioni di questo piccolo paese, il più povero d'Europa, di quella povertà che nessun monumento trionfale riesce a mascherare. Si alternano senza soluzione di continuità negozi e cartelloni pubblicitari con caratteri latini e in cirillico. Chiedo semplici informazioni a qualcuno in rumeno e questo mi risponde in russo. Ma quando chiedo direttamente in russo mi si risponde in rumeno o addirittura in italiano (essendo una lingua imparentata). E allora capisco di non essere in un paese normale, bensì in un posto lacerato in due.

La Moldova è un paese legato storicamente alla Romania e alla Dacia romana. Addirittura all'entrata di un museo mi si presenta alla vista la familiare e rincuorante statua della lupa che allatta Romolo e Remo. Ma quando l'Unione Sovietica la conquistò facendola sua, il paese subì un processo di russificazione violentissimo, tanto che il russo diventò la prima lingua e dal resto dell'URSS ci fu un'ondata di nuovi abitanti che cercarono di estirpare per volere dello stato centrale le profonde radici di questa terra. Al crollo del Comunismo la Moldova fece la scelta ardua di sedersi al tavolo della Comunione degli Stati Indipendenti con la ferma intenzione di riallacciare il forte legame anche culturale e linguistico con la Romania. Da tutto ciò nasce la Transnistria e la guerra sfociata nel 1992: i russi rimasti non se ne vollero andare, né tantomeno riconoscere la lingua e la cultura rumena come propria, ostacolarono le strade che collegavano Chișinău a Bender e grazie all'aiuto della Russia combatterono contro il resto dei moldavi aiutati dalla Romania... e vinsero, creando così uno stato de facto, con un proprio statuto, una propria frontiera, una propria moneta, il russo unica lingua. Facendo della Moldova lo stato più indebitato e povero dell'Europa scevra dal Comunismo, con all'interno una specie di buco nero non riconosciuto dalla Comunità Internazionale eccetto ovviamente per la Russia e per quelle regioni della Georgia (Abkhazia, Ossezia Del Sud) che hanno vissuto la stessa situazione e che in Transnistria hanno persino le proprie sedi diplomatiche.

Il novecento, dunque, ha portato questo paese a una divisione interna che solo il crollo di una potenza come l'Unione Sovietica potesse creare. E questo si manifesta in tutto: dai ristoranti di tutti i tipi alle discoteche alle agenzie di viaggi o immobiliari ai teatri. Già, i teatri... una volta rientrato al bed and breakfast e posato il grosso dei soldi nel locker, non ho altra idea per la testa di uscire di nuovo in cerca di cibo: ho camminato in lungo e in largo e non mangio dalla mattina presto. Il buco allo stomaco è amplificato dall'umidità che ti si appiccica addosso... la mia stanza da letto non ha l'aria condizionata e questo è un dramma per il sudore e le zanzare che mi uccideranno. Intanto però conosco un ragazzo giapponese che mi offre di uscire con lui: penso a una passeggiata nella quale magari facciamo almeno un salto da McDonald's. Accetto.

Lui è in viaggio tra Ucraina e Romania, usa moltissimo Couchsurfing per incontrare gente del posto e sta per essere ospitato da una ragazza nientemeno che in Transnistria, dove però ha avuto un'esperienza negativa sul treno che collega Odessa a Chișinău passando però per Tiraspol e Bender: un miliziano gli ha ritirato il passaporto e per farselo ridare con il timbro sopra ha dovuto fargli il gentile regalo di 20 euro. Se ero partito con l'intenzione di mettere piede sul suolo della Pridnestrovie (così si chiama la regione in russo) dopo il racconto per un po' mi è passata la voglia.

A non essermi passata, invece, è la fame. Ma come uno scherzo del destino il giapponese deve incontrarsi con quattro signore per andare a teatro (roba di Couchsurfing, non ne ho capito benissimo la dinamica). Rimango annichilito: lo stomaco rumoreggia ma le simpatiche signore, quattro vecchiacce sovietiche con lunghi abiti di finta seta, invitano anche me. Faccio finta di aver lasciato i soldi e di essere imbarazzato per i pantaloncini corti e gli infradito, ma la bionda del gruppo mi prende per mano e mi trascina, parlando un russo dolce e con la voce molto impostata, davanti al teatro vicino alla gigantesca Ambasciata Italiana, che assurdamente mi sembra l'edificio più moderno e curato di Chișinău.

Lo stomaco bestemmia ma non posso declinare l'invito a visitare l'interno del teatro e almeno un po' di spettacolo gratis, quando invece tutti intorno a me hanno pagato un biglietto. Sarà stata accoglienza per due poveri stranieri che vengono da paesi con un PIL grande otto volte tanto quello della Moldova e che, volendo, non avrebbero problemi a pagare 10 euro di biglietto? No, in realtà la signora bionda che mi ha trascinato nella situazione è una rinomata ex attrice: io e il giapponese rimaniamo incantati dalla sua bellezza in una foto giovanile racchiusa in una cornice d'oro in una specie di Hall Of Fame posta nell'androne del teatro.

La platea è molto bella e dà l'idea di un posto per intellettuali. È tutto esaurito e davanti a noi si siedono due ragazze more con gli occhi verdi che per un attimo mi tolgono l'attenzione dalla voglia di cibo. Mi faccio avanti per chiedere a loro quanto durerà lo spettacolo... mi rispondono in russo e non capisco niente. E allora l'incubo si avvicina: con la pancia vuota mi appresto ad assistere a un lungo spettacolo teatrale IN RUSSO, quindi senza capire una fava, e seduto al centro della platea ospite di rispettabili attrici che mi hanno fatto entrare gratis!.

Lo spettacolo comincia: è una commedia, tutti ridono. Rido anch'io, ma pensando all'assurdità tragicomica del momento. Cerco di capire la storia e un po' ci riesco: in una fattoria ci sono due ragazzi che si amano, lei è incinta, il padre di lei ritiene un buono a nulla il fidanzato promesso sposo minacciandolo continuamente con un fucile. Nella fattoria ci sono anche quattro animali (interpretati da ragazzi giovani non travestiti ma con abiti normali) che commentano i comportamenti degli umani da dentro una gabbia. Una bionda stupenda, occhi splendidi, voce sensuale, fisico clamoroso con almeno una quinta di seno, è vestita di bianco e interpreta una pecora: quando fa il verso dell'animale mi viene in mente un film porno.

A un'ora e venti minuti dall'inizio dello spettacolo arriva la pausa del primo atto. Cerco di spiegare alla signora bionda che esco per prendere una boccata d'aria e lei mi dà l'appuntamento a dopo: è l'ultima cosa che ci diciamo. E mi dispiace, perché in fondo la situazione era grottesca. Ma avevo troppo bisogno di rifocillarmi. Così corro con le mie infradito all'impazzata e mi chiudo da McDonald's. In un secondo mi sento meglio e decido di tornare al bed & breakfast, dove incontro Ryan, un ragazzo americano che sta facendo un giro stranissimo per l'Est Europa, e un gruppo di rumene che subito mi invitano a giocare con loro a Mikado: chi fa muovere le bacchette deve bere uno shot di whiskey. Così ci sbronziamo tutta la sera, poi ci prepariamo per uscire e andiamo tutti insieme a un locale dove danno rock dal vivo, cantato in rumeno.

Ci facciamo molte foto e prendo altre tre birre. Poi però vengo assalito dalla voglia di provare un posto più cool, uno di quelli che piacciono a me, con le belle ragazze e la musica elettronica. Do a tutti l'appuntamento a dopo al bed & breakfast e mi sgancio per immergermi nella movida di Chișinău. Come il resto delle cose, anche i locali pubblici in Moldova sono divisi tra quelli che strizzano l'occhio allo stile rumeno, con ambiente gioviale un po' zingaresco, divertimento naïf e gente vestita in modo semplice, e le tipiche Russian Disco, con ambienti molto più patinati e le ragazze dal broncio perenne e in abiti succinti. Ne provo un paio di entrambi i generi e tutto sommato mi diverto, trovo le situazioni molto interessanti.

Poi mi prende un colpo di sonno e torno indietro. Mentre supero tre casermoni in direzione del bed and breakfast vengo inseguito da una macchina in una strada deserta, che mi accerchia e studia quello che voglio fare. Per fortuna trovo l'entrata dell'alveare popolare dove è il bed & breakfast e mi salvo la vita: non mi sono mai più sentito in pericolo, in un paese che al contrario mi è sembrato molto sicuro e accogliente.

Il giorno dopo parlo con le ragazze rumene e con Ryan sulla possibilità di andare tutti insieme un paio di giorni in Transnistria nel weekend. Io nel posto più sovietico dell'ex URSS con un americano e ragazze del paese che ci hanno fatto la guerra contro? Mi viene da ridere solo al pensiero.

Intanto però mi incontro con Marina, una ragazza che ho conosciuto su internet facendo un po' di dating a Roma. È bionda, alta, gambe perfette, una ragazza d'oro. Passeggiamo per tutto il centro di Chișinău scattandoci foto insieme mano nella mano davanti alla Chiesa Ortodossa, al campanile, alla statua del sovrano del XV secolo Stefan Cel Mare e a passeggio in una specie di Villa Massimo, il classico parco con fontane e statue sedute sulle panchine che ho visto svariate volte nei paesi ex sovietici.

Mentre ci beviamo una birra offerta da me a un pub chic della città lei mi racconta una storia imbarazzante, con un sorriso scintillante che mai mi aspetterei per una cosa del genere: Marina è divorziata da due anni e il marito l'ha tradita con la sua migliore amica. Oggi loro si sono sposati ma Marina sembra non provare alcun rancore per una cosa che a mio avviso è delle peggiori e assurde che potrebbe vivere mai una donna. È rimasta amica di tutti e due, felicemente (così dice) single, con molti amici in Turchia che la invitano spesso: Istanbul le ha rubato il cuore.

Ci spostiamo dal centro per visitare una Cattedrale Ortodossa e la porta della città, ovvero due palazzi che avevo già visto dal finestrino del taxi che presi all'aeroporto che hanno la stessa identica forma delle Vele di Scampia, risultando coreografiche nel loro grigiore: a quanto pare una certa architettura può risultare anche pratica e omogenea. Poi Marina mi porta a un parco e anche li ci facciamo foto a iosa vicino al laghetto, finché non scoppia a piovere e ci becchiamo l'acqua rimanendo abbracciati seduti su una panchina.

Ci vediamo anche il giorno successivo: stiamo insieme. Mentre la tengo per la mano lei mi invita in un posto nella campagna moldava dove ha casa: questo significherebbe rinunciare alla Transnistria e, soprattutto, limitare se non annullare il mio soggiorno a Odessa. Tentenno, ci penso un po': per un momento, mentre sono abbracciato a lei, mi chiedo davvero chi caspita me lo faccia fare ad andare in Ucraina: sto con una ragazza che mi piace, che mi porta in un posto romantico in campagna, una situazione nuova, ottimale.

Ma alla fine, una volta tornato al bed and breakfast, le mando un messaggio con la mia decisione di andare in Transnistria e poi in Ucraina. E ancora oggi credo che sia stato giusto così: non avrei potuto perdonarmi di non essere andato a Odessa, dopo che per almeno due anni mi ero promesso di visitarla addirittura prenotando un volo che poi dovetti cancellare. Dopo una nottata passata con Andrès, un ragazzo brasiliano appena arrivato, nella quale ci siamo rimorchiati due bionde a una discoteca russa, mi unisco al gruppo per sfidare la milizia del confine e visitare Tiraspol.

La capitale transnistra si raggiunge con una marshrutka che si prende dal mercato popolare di Chișinău: non ho mai visto tante facce brutte come in quel mercato. Le ragazze ci hanno consigliato di stare attenti ai portafogli e tutto il resto; dopo una ventina di minuti di ricerche finalmente troviamo il pulmino, paghiamo una sciocchezza all'autista, e mentre percorriamo una strada piena di buche cerchiamo di compilare il modulo di entrata in Transnistria. Dopo un'oretta e mezza asfissiante, completamente accaldati, incontriamo prima le guardie di frontiera moldave, poi le forze di pace russe e infine la milizia della Transnistria. Tutti entrano sul pulmino e controllano documenti: quando la guardia transnistra, un trentenne mal ridotto con i denti storti, prende il passaporto americano di Ryan, si esibisce in una risata sadica. Ryan la prende a ridere e tutti facciamo finta di essere divertiti. Io penso che presto verremo portati in un angolo della frontiera e spogliati di tutti i nostri averi.

Invece non succede niente: ci ridanno i passaporti senza neanche farci seguire una fila inumana, da cui spunta anche un ragazzino col passaporto italiano che cerca di fare il furbo passando avanti alle persone. Ripartiamo prontamente e raggiungiamo prima Bender e poi Tiraspol. A Tiraspol ci divertiamo tantissimo, vaghiamo in lungo e in largo per la città e veniamo risucchiati dall'onirico stile di vita di questo posto che non esiste geograficamente.

Visitiamo lo stadio dello Sheriff F.C., uno dei più belli d'Europa, costruito per regalo al figlio del Presidente della Transnistria Igor Smirnov, proprietario anche della Sheriff, la multinazionale del commercio e della benzina le cui stazioni stanno a ogni angolo. La piazza centrale di Tiraspol è bella, grande, piena di commemorazioni per i caduti nella guerra del '92 e con una statua bellissima di Lenin di fronte al palazzo presidenziale. La gente è molto cordiale e da ogni angolo di strada spuntano ragazze bionde protagoniste di desideri inappagati. C'è anche un cinema che, per allietare i bambini di questo stato inesistente, trasmette Madagascar 3, ma tutti stanno sulle rive del Nistru (o Dnestr in russo) a godersi un po' di sole con in mano un bicchiere di buon kvass, che noi prendiamo immediatamente.

Con le macchine fotografiche immortaliamo i nostri momenti in questo ultimo paradiso sovietico, che, dietro la sua innocenza di facciata, pare nasconda il più grande traffico d'armi mondiale proveniente dal porto di Odessa, ma anche al ritorno non succede altro che un miliziano ci prenda in giro per aver visitato una regione, uno stato, un paese (?) che secondo lui non vale la pena di alcuna attenzione. A Chișinău passiamo l'ultima nottata insieme a scambiarci le foto e bere vodka e un pregiato cognac acquistato in un emporio di Tiraspol, poi ci salutiamo per sempre.


Il giorno dopo mi sveglio prestissimo, alle 6 e mi faccio chiamare un taxi per accompagnarmi alla stazione degli autobus; devo trovare assolutamente un modo per arrivare a Odessa nel primo pomeriggio, per non perdere tempo e non morire di fame. Lo trovo in appena venti minuti, accertandomi dall'autista di passare per la frontiera a Palanca e quindi aggirando le rogne della Transnistria. È una marshrutka con più posti a sedere e la gente è tantissima già dalla mattina presto, evidentemente desiderosa di un po' di mare. Ma esattamente come una marshrutka, e non come un pullman diretto, il piccolo mezzo di trasporto accoglie qualsiasi persona che sul ciglio della strada alzi un braccio.

E così accade che ricorderò per sempre quel giorno come di uno dei più vergognosi della mia vita: davanti a una distesa di splendidi girasoli chiama la fermata una vecchietta di almeno 90 anni certi. A bordo del pulmino già c'è un sacco di gente in piedi, mentre io stavo comodissimo accanto all'autista, che mi prese subito in simpatia e mi fece sedere accanto. Ero stanchissimo, il giorno prima ero tornato dalla Transnistria morto e di notte avevo alzato il braccio con l'alcol per congedarmi con Ryan e le rumene; non ce la facevo proprio a lasciare il posto alla signora... 28 anni buttati nel cesso. Questa, impavida e in silenzio, con uno schiaffo morale mi si piazza accanto, mezza ingobbita ma tenace, e mi dà prova della forza fisica della contadina sovietica.

Alla frontiera succede la cosa più sorprendente: la signora non ha un documento. Le altrimenti inflessibili guardie di dogana si guardano impietosite davanti alla storia, probabilmente frequente, di una povera vecchietta che ha vissuto tutta la sua esistenza in un unico paese indivisibile, senza frontiere, senza l'obbligo di tenere con sé un passaporto. Grazie al povero inglese di una quarantenne bionda, l'essere umano decisamente più poliglotta del pullman, scopro che questa signora ancora lavori, a 96 anni di età, in un villaggio rurale e abbia una nipote sposata in Ucraina dalla metà anni '80 e che ogni tanto va a trovare: le contraddizioni della Storia e del mondo (visto che a 28 anni sia ancora un disoccupato fancazzista occidentale) toccano il loro punto più alto.

Dopo circa quattro ore di viaggio, sotto un sole implacabile, arriviamo con anticipo a Odessa. La stazione dei bus pare decentrato rispetto al centro, ma presto la città si svela ai miei occhi per ciò che non immaginavo. Come già detto mi ero fatto un'idea di Odessa come di una Danzica o di una Riga con il mare e col sole: un posto piccolo, raccolto, con tanti divertimenti sulla spiaggia e locali all'aperto. E invece mi trovo in un blocco gigantesco, una vera metropoli dove tra il centro e il mare ci sono almeno venti minuti di macchina tra superstrade e traffico. Come non bastasse il bed & breakfast che ho prenotato si trova a quaranta minuti di marshrutka dal centro storico. Ogni uscita è un viaggio lunghissimo, ma non poteva essere altrimenti.

A Odessa tutto è dispersivo: la si potrebbe descrivere come una fusione tra Napoli (i vicoli del centro, il porto, un certo foklore di strada) e Los Angeles (gli stradoni, il traffico, le spiaggie affollate) condita però in salsa sovietica

La marshrutka che prendo dal mio alloggio si ferma a una piazza con una splendida Chiesa Ortodossa dopo avermi mostrato al finestrino la struttura globale della città, ovvero un via vai di stradoni studiati in modo molto razionale che oltre a collegare ogni punto della mappa servono a risaltare in prospettiva i soliti monumenti di eroi e di operai, le piazze circolari con gli obelischi al centro e gli onori ai caduti della Seconda Guerra Mondiale e alla potenza bellica sovietica.

Percorro una gradevolissima strada chiamata Derybasivskaya con dei giardinetti su un lato e tutti ristorantini, pub e gallerie di modernariato sull'altro. Proprio nel mezzo della via, a metà strada tra lo svincolo per il Teatro Dell'Opera e la piazza in cui era finito il giro della marshrutka, trovo McDonald's e subito dopo il centro commerciale Evropa, al cui ultimo piano c'è Puzata Hata. Entro e prendo i soldi (duecento euro, per pagare il bed and breakfast e lasciarmi qualcosa in tasca) da un bancomat sicuro della struttura, dopo aver già provato invano, e con la paura delle clonazioni di carte di cui in Ucraina sono professionisti, una macchinetta del supermarket della zona periferica dove sto.

Vado a rifocillarmi nel mio ristorante preferito (Puzata Hata, ovviamente), divorandomi con appena quattro euro l'impossibile e penso che in fondo questi punti di riferimento logistici dei paesi dell'est contribuiscono a farmeli amare di più. Poi, invece di andare alla scoperta della città, memore della brutta reputazione della stessa in termini di pericolo ritorno sulla marshrutka per portare i soldi al bed & breakfast e organizzarmi al meglio. Voglio subito pagare la gentilissima padrona della struttura (una villetta), che mi accolse subito con abbracci e frasi incomprensibili in russo, cercando anche di spiegarmi come prendere la marshrutka e dando per scontato che anche a Roma ci siano dei maledetti pulmini gialli che girano la città senza fermate: insomma la solita, affettuosa, nonnina sovietica che pensa che tutto il mondo sia uguale a quello in cui vive. Dai suoi occhi azzurri e dai capelli lisci tinti di un biondo che potrebbe simulare quello naturale di un tempo, si intuisce che all'epoca dell'URSS lei fosse una di quelle ragazze che mi avrebbero fatto impazzire.

Non faccio in tempo a saltare sulla marshrutka del ritorno che succede ciò che temevo e che mai mi era successo finora: cercano di rubarmi il portafoglio. Il pulmino è pieno di gente e noto che due ragazzi con la faccia poco rassicurante si stessero poggiando a un palo proprio accanto a dove ero io, intruppando sul mio braccio e facendomi talvolta leva sulle spalle in modo strano. Mi viene immediatamente un flash di un documentario della National Geographic sull'arte dell'arrangiarsi a Napoli nel quale un prestigiatore di Las Vegas illustrava il modo in cui gli scippatori cercano di sviare l'attenzione del malcapitato. Abbasso subito lo sguardo sulle tasche dei miei bermuda e trovo il pollice di un ladro distante almeno tre metri (con gli altri davanti che evidentemente gli reggono il gioco fungendo anche da scudo) che cerca di aprimi la zip della tasca dentro cui si vedeva chiaramente il mio portafoglio gonfio.

Abbasso immediatamente le mani e faccio come per grattarmi le gambe. Cerco di fare lo gnorry, coi criminali non si scherza, soprattutto in questi posti. Poi mi guardo attorno e incontro lo sguardo del ladro che mi fissa con una certa malinconia come a dire "aho, c'ho provato, che devo fa'". Alla fermata della stazione dei treni, appena cinque minuti dal tentato furto, la marshrutka si svuota, scendono tutti quelli che mi erano davanti. Noto in loro un certo nervosismo. A ogni modo trovo un posto libero e mi siedo: rimango così fino alla fermata della marshrutka davanti alla via del bed & breakfast che percorro correndo anche per smaltire la tensione accumulata.

Pago la signora e cerco di raccontarle a gesti (e in un russo improvvisato) quello che mi fosse appena successo. Lei mi dice "bravo" e si scusa per il comportamento dei suoi concittadini: manco a farlo apposta, mi ricorda i commenti dei napoletani alle notizie dei furti ai turisti sui siti dei giornali.

Decido immediatamente di mettere il portafoglio dentro il locker e portare sempre il minimo indispensabile. Declino tutte le mie velleità di vestirmi con giacche e roba firmata, al massimo una camicia, anche perché fa caldo. Al bed & breakfast conosco un gruppo di ragazze russe che mi accolgono benissimo tra loro: sono di San Pietroburgo: le racconto del mio viaggio nella loro città e di quanto mi sia piaciuta. Poi un americano che lavora al bed & breakfast e che, parlando inglese a differenza di tutti, si occupa degli ospiti stranieri, mi invita ad una braciolata che si terrà nel weekend: è un simpatico ciccione, con una buona cultura, fidanzato con la nipote della padrona del posto che ha due gambe da urlo e un culo come pochi ne avessi visti nell'Est Europa.

Tutti escono insieme, io da buon lupo solitario me ne vado per conto mio. Tramite un sito di dating russo conosco una di Odessa mora, occhi azzurri, viso pulito, belle gambe; si chiama Sasha, studia economia e mi sembra da subito una gran brava ragazza. È con lei che visito il bellissimo Teatro Dell'Opera (uno dei più antichi e prestigiosi d'Europa) e vedo per la prima volta la scalinata Potëmkin, per poi scendere fino al porto. La mia sensazione è esattamente la stessa che provai agli Universal Studios di Los Angeles quando, tra un set e un altro, mi trovai davanti il Bates Motel di Psycho: una commozione unica.

Con Sasha mi trovo bene, parliamo di tante cose e il giorno seguente andiamo al mare: mi porta in una spiaggia popolare (quindi non l'Arkadia, il distretto più cool con stabilimenti e discoteche) e assaggio il Mar Nero. "Ormai nel 2012 ci sono poche certezze in ogni campo; ma il Mar Nero è veramente nero": così scrivevo su Facebook una volta tornato al bed & breakfast. L'acqua è peggio di come me la fossi immaginata, algosa e piena di roba scaricata dalle barche dei benestanti e delle navi perse all'orizzonte.

Nel tardo pomeriggio ho in programma un altro incontro con Sasha che mi porta sul ponte degli innamorati coi maledetti lucchetti mocciani che già vidi anche a Mosca. Mi racconta di come prima di conoscermi fosse diffidente verso gli italiani, tanto che cerca sempre di non portarli nei posti più romantici di Odessa. La solita roba di latini e turchi che vanno nelle terre delle belle ragazze in cerca di avventure e sesso. Per me Sasha fa un'eccezione e per riconoscenza le consiglio di non cambiare atteggiamento verso i miei connazionali.

Poi il tempo cambia di colpo: quando stavo a Chișinău mia madre mi aveva avvertito di una tromba d'aria e di alluvioni che avevano disastrato il Mar Nero, però dall'altra parte, in Russia e in Abkhazia. Il maltempo arriva anche a Odessa e, come una settimana fa in Moldavia con Marina, mi ritrovo zuppo in un minuto: con Sasha però passo momenti di magica intimità, ma trovo riparo da Puzata Hata per l'ennesima cena buona, sana e low budget.

Lei è bella ma seria, non in cerca d'avventure: non voglio che lei cambi opinione su di me e quindi decido di non vederla più. Mi invento che ho fatto amicizia con uno spagnolo che mi ha chiesto di vedere la città con lui. Ci congediamo con freddezza e il giorno dopo vado in cerca di un posto dove dormire un po' più vicino al centro, visto che il weekend si avvicina e voglio godermi Odessa al meglio.

All'ostello principale del centro della città, tanto difficile da trovare quanto il bed & breakfast (niente insegne, indicazioni approssimative che portano all'interno di palazzi vecchi e malandati), incontro nuovamente Ryan, l'americano di Chișinău. Anche con lui i rapporti si sono raffreddati, l'unica cosa che mi dice è di aver conosciuto un altro ragazzo italiano che sta per lasciare l'ostello e che si sta divorando uno di quei spuntini ipocalorici per palestrati.

Si chiama Luca, vive a Dublino e ha un fisico asciutto da atleta, un bel ragazzo. Ci chiacchiero un attimo e gli chiedo informazioni sull'ostello: lui mi dice di lasciar stare, posto pulito, poco divertimento, Arkadia comunque lontana. E, fatalità, si sta spostando esattamente nel mio bed & breakfast; prendiamo un taxi diviso a metà e lo faccio venire nella mia camerata, dove nel frattempo è arrivato anche un messicano di ottanta anni.

Questo personaggio merita un discorso a parte: ha un fisico mostruoso, le rughe da uomo vissuto e usa fare allenamenti la mattina e la sera con tanto di meditazione nella nostra camerata. Lui sta facendo un giro del mondo che lo porterà a breve in Cina: ascolto le sue storie con molto interesse, per quanto da tutto traspaia un odio profondo nei confronti dell'occidente e dell'America. "Che senso ha lavorare tutta una vita per fare soldi?"... suppongo che abbia ragione.

Luca invece è il classico italiano che ce l'ha fatta, nel senso che venendo, secondo i suoi racconti, dalla periferia di romana, con tanta buona volontà guadagna abbastanza soldi per sbarcare il lunario in Irlanda. Che razza di lavoro faccia non lo capirò mai: parla di presentazioni, congressi e roba del genere. La cosa positiva di questo bellimbusto dal volto sorridente e la parlantina veloce è la sua voglia di divertirsi come me, quindi mi accompagnerà in discoteche e altro. La cosa negativa è il suo positivismo ostentato, il suo disprezzo verso la gente che non sa farcela da sola e che chiede sempre aiuto agli altri. Un aspetto che mi ricorda terribilmente quello del mio compagno di viaggio solito Gualtiero ma elevato all'ennesima potenza.

La sera andiamo proprio nel distretto dell'Arkadia a studiare i locali in cerca di divertimento estremo. L'inizio non è dei più incoraggianti; questa specie di passeggiata che porta agli stabilimenti balneari (che la sera diventano discoteche) è un vialone di decadentissimi capannoni dove ci sta un po' di tutto, dai gelati alle macchine a scontro: peccato che, come scritto persino sulla guida della Lonely Planet in un capitolo apposito, bisogni stare ATTENTI ALLA POLIZIA.

E come ti sbagli, appena varchiamo l'insegna vintage del distretto due guardie in camicia bianca ci fermano. Controllano i nostri passaporti e io cerco di parlare con loro un russo discreto per mostrare la mia dimestichezza con i paesi ex URSS. Cerco di dare l'idea di essere uno di casa, ma ben presto i due (che non sono poliziotti o miliziani, bensì guardiani dell'area) ci chiedono una mancia per la loro simpatia. Proprio così, senza mezzi termini. Io e Luca ci guardiamo e lui, col suo positivismo da venditore d'aspirapolveri, li convince che dobbiamo ancora prendere i soldi dal bancomat.

Ci lasciano stare e andiamo avanti: il morale però è un po' infastidito. Luca è quello che meno ne risente: anzi, prende tutto come una sfida... trova la situazione divertente. Intanto ci prendiamo due birre a un prezzo ridicolo (ovvero poco) e cerchiamo di goderci il nero della notte sul Mar Nero e decidiamo quale delle due discoteche principali visitare per questa prima tornata.

Alla fine entriamo in entrambe, peraltro sollecitati da due ragazze non male, che prima ci orientano verso l'Itaka (look neoclassico con una sorta di Partenone suggestivo) e poi le ritroviamo qualche ora più tardi da sole all'Ibiza (marmo bianco stile Santorini e più piste a disposizione). L'Ibiza è più bella e varia, con una stupenda piscina al centro e un ponticello sul mare che dà sull'orizzonte.

Balliamo, cerchiamo di conoscere qualche ragazza tra la moltitudine di bellezze e cercando di distinguere "normali" e professioniste. Poi decidiamo di rincasare e organizzarci alla grande per il weekend alle porte.

Da viaggiatore esperto dell'Est Europa, propongo a Luca di cercare un appartamento in cui dare qualche festicciola con un paio di ragazze. Lui ne è entusiasta e mi dà il compito di cercare tra i siti il "deal" migliore. Prendo su Internet tre indirizzi di agenzie di appartamenti e il giorno dopo mi vedo in centro con una ragazza di un dating russo che si offre d'accompagnarmi.

Si chiama Olga ed è la ragazza più bella in assoluto conosciuta in questo viaggio. Un fisico da atleta con gambe toniche e spalle dritte sorregge uno dei volti più puliti e poetici mai visti in una ragazza: occhi azzurri da vivere, capelli biondi che si lasciano accarezzare dal caldo vento e lentiggini adolescenziali di una dolcezza che ti tocca il cuore.

È russa e mi racconta di venire da un posto vicino Volgograd, la ex Stalingrado. Vive a Odessa per lo stesso motivo per cui molte ragazze occidentali oggi vivono a Barcellona: per lei è la città degli artisti, delle opportunità umanistiche. Sarebbe tutto bellissimo se non fosse che una delle prime cose che mi racconta della sua vita è la famiglia da cui proviene: un nucleo povero, fatto di un padre alcolizzato e di una madre in fin di vita (non le chiedo il perché). La sorella è emigrata in Bielorussia, lei invece ha seguito i suoi istinti e le sue velleità artistiche e si è trasferita a Odessa dove dipinge quadri e vive un po' alla giornata.

Non mi era mai successo, neanche nei posti più disastrati, che una ragazza, una splendida creatura, mi confidasse di essere povera economicamente. Solitamente sia per orgoglio che per cordialità nei confronti del visitatore, le ragazze si concentrano sui fattori toccati solo marginalmente dal dio denaro.

E invece Olga mi parla della sua vita di povertà, delle interminabili camminate per Odessa per risparmiare 70 centesimi di biglietto del tram, della solitudine a cui cerca di ovviare con la pittura. Mi porta in una spiaggia affollatissima e mi invita a nuotare con lei... io le faccio notare di avere appresso i documenti e le carte di credito. Lei mi invita a lasciare tutto a una ragazza immersa nel relax sotto l'ombrellone. Io mi nego ancora... perdo un momento di poesia ma non voglio assolutamente rischiare di perdere tutto e avere problemi. Probabilmente sulla mia Postpay ho tanti di quei pochi soldi che Olga difficilmente ha mai visto tutti insieme... e come lei gran parte della gente che in questa spiaggia pubblica si diverte in modo animato, tra racchettate e canzoni con la chitarra. Gente che mi diverto a guardare mentre aspetto che Olga esca dall'acqua, dalla sua nuotata verso il largo.

Una volta tornati al centro della città, cerchiamo insieme gli indirizzi dei siti di noleggio d'appartamenti. Non ne troviamo nemmeno uno, chiediamo al vicinato dei vari cunicoli degli alveari popolari, in cui siamo risucchiati nella ricerca, e nessuno sa risponderci, né bambini, né signore, né vecchi. Così lei mi chiede perché io voglia prendere un appartamento: una domanda stupida e scontata, che in seguito avrà una spiegazione.

Intanto però mi porta a vedere le vecchie case di Odessa. Si tratta di pittoreschi casermoni non molto distanti dalla scalinata Potëmkin dove vive gente poverissima in "appartamentini" grandi come le celle di Rebibbia. Gli abitanti dello stabile ci guardano incuriositi mentre Olga mi spiega in inglese l'opera di Stalin nella costruzione di questi folkloristici e un po' angusti spazi. Io, dal canto mio, mi interrogo perché nell'Est Europa la gente abbia la tendenza di presentarmi esperienze del genere come interessanti, tra le cose da fare e vedere senza ombra di dubbio: anche Marina di Chişinau avrebbe voluto portarmi in una regione della Moldova dove la gente è poverissima.

Dopodiché ecco la proposta: "perché non vieni a casa mia?". Mi sento imbarazzato. Olga mi propone di passare il resto dei miei giorni a Odessa nel suo appartamento e non capisce perché voglia stare con Luca e spendere tanti soldi (circa 40 euro a notte da dividere in due) per un posto da prendere in affitto. Mi vuole da lei in cambio di un piccolo aiuto e mi mette in difficoltà. Provo a spiegarle che Luca sia un mio grande amico e m'incolperebbe di tradimento qualora accettassi. Lei mi risponde subito di poter trovare tranquillamente un posto anche per lui (a casa di un suo amico, mi pare di aver capito).

Olga insiste perché io almeno veda la sua casa e questo si rivela l'esperienza più sgradevole del viaggio dopo il tentativo sulla marshrutka di rubarmi il portafoglio. Pago per due un tram e dopo tre fermate scendiamo in un posto nella parte più esterna a sinistra dal centro della città. Prendiamo una traversa dello stradone sporca e piena di siringhe ai lati della strada: Olga vede che ho paura e mi stringe una mano. Arriviamo poi davanti a un alveare popolare la cui entrata è caratterizzata da un tornello d'acciaio. Lo passiamo e finalmente ci troviamo davanti alla sua abitazione.

Lo spettacolo è desolante: Olga vive in una vecchia stalla dove fino a poco tempo fa ci stavano i cavalli. Mi apre la porta ed è tutto in disordine, tutto vecchio, divanetti presi dalla strada, un letto disordinato e messo al centro della stanza. Il bagno è fuori ed è in comune con il vicinato. D'inverno non ci sono acqua calda né riscaldamento (solo una misera stufetta messa vicino a letto), di notte la strada, dove la costruzione è incagliata, non è illuminata. Sono sconvolto: lei si siede sul letto e mi chiede un'ultima volta se proprio non voglia rimanere con lei, anche solo per una notte.

Io sento le lacrime agli occhi ma mi contengo: in realtà voglio uscire di corsa da quel posto e vomitare. Non avrei mai immaginato nella mia vita di ritrovarmi un giorno con una ragazza così straordinariamente bella in un luogo così terribile. Riesco a ringraziarla di cuore e la prego, forse in modo un po' arrogante, di riaccompagnarmi alla fermata del tram.

Non so se Olga l'abbia presa come un rifiuto (e non voleva esserlo, non per lei) o se ci sia rimasta male: fatto sta che insieme aspettiamo l'arrivo del tram e ci salutiamo con un abbraccio prima che io scoppi in lacrime mentre il mezzo di trasporto mi riporta dalle parti del porto. Tutti mi fissano mentre continuo a piangere e faccia di tutto per trattenermi, prima che qualcuno chiami la milizia o altri reparti in teoria predisposti a aiutare la gente.

Ma non è andata solo così nella città delle barzellette. C'è stato anche un momento di divertimento e irritazione, proprio lo stesso giorno della mattina passata con Olga, anzi la sera. Su Couchsurfing mi aveva chiesto di incontrarci una ragazza di nome Alexandra: già dalla foto si intuiva che non fosse tra gli esemplari più belli di Odessa. Ci incontriamo alle sette per un aperitivo/cena e ci facciamo quattro chiacchiere. Lei fa la sagretaria, è molto ben vestita con un abito nero avvitato che mi sembra persino di marca, e dà l'idea che esista una media borghesia anche in una città del genere. Parla anche l'inglese migliore dell'intero viaggio.

Dopo aver mangiato decidiamo di fare quattro passi prima che poi la saluti per prendere un taxi in direzione dell'Arkadia, dove Luca mi sta aspettando insieme a altre due ragazze conosciute oggi al mare mentre io girovagavo con Olga in cerca dell'appartamento. Finiamo per sederci sulla panchina davanti alle barche del porto e mi sento stranamente bene, a mio agio. Guardo Alexandra con occhi dolci più o meno involontari... mi rendo conto di voler finalmente passare un bellissimo momento.

Ma Alexandra mi fredda all'istante: "non mi guardare in quel modo!". Io mi scuoto dal torpore e le chiedo spiegazioni. Lei mi fa notare la mia voglia di baciarla proprio in quel momento e scoppio subito in una risata incredula. Anche Alexandra, che, ripeto, non è questa gran bellezza, ride. Passiamo almeno un quarto d'ora a giocare su doppi sensi, io facendo leva sull'atmosfera magica del porto e sull'unicità poetica del momento, lei con secchiate d'acqua sulle mie voglie. È tutto molto ironico finché io non provi ad avvicinare le mie labbra alle sue. Lei mi spinge indietro e mi accusa di superficialità: "per te i baci non sono una cosa così importante, se li dai agli sconosciuti".

Di solito non amo gettare la mia dignità allo sbaraglio come in questo caso, ma il porto di Odessa di notte mi dava belle sensazioni... tutto mi sembrava bello, anche un ucraino magro, che in giro per qualsiasi strada di una qualsivoglia città sovietica avrei preso per eroinomane (fisico asciutto da persona malnutrita), danzante sulla barca una versione techno della colonna sonora di Titanic.

Mi lascio con Alexandra e prendo un taxi abusivo per l'Arkadia, dove Luca mi presenta le due ragazze con cui si è intrattenuto tutto il giorno e balliamo sulla pista di un Ibiza stracolmo di gente e davvero suggestivo. Non riesco a capire se si tratti di due escort o di due ragazze normali, in ogni modo rispondono ai perfetti canoni della ragazza di Odessa: bionde, alte, occhi chiari, abiti sgargianti (l'una turchese, l'altra fucsia), sandaletti ricercati.

La notte successiva Luca mi rinnova la proposta di uscire con loro, ma non mi va. Preferisco farmi il barbecue del bed & breakfast che dovrebbe precedere un'uscita di gruppo. Luca s'arrabbia un po', salvo poi alla fine aggregarsi quando le due bionde gli danno buca all'ultimo. Al bed & breakfast sono arrivati due gruppi enormi di tedeschi e norvegesi: facciamo tante belle conoscenze e quella che più mi rimane è un signore americano sulla sessantina.

Si chiama Stewart ed è di Los Angeles. S'illumina d'immenso raccontando della sua impresa, quando nel 1991 perse tutto a Las Vegas, anche la fiducia di una moglie e due figli da mantenere, e prese la decisione drastica di vendere il poco che gli rimase (una casetta a Santa Barbara e una Porsche) per trasferirsi nella Mosca post-sovietica in cui una casa, per l'appunto, costasse quanto un'automobile in America. Così avviò una specie di impero, che con la stabilizzazione della Federazione Russa e il valore quintuplicato dell'immobile, lo ha portato a essere un ricco imprenditore dell'ex URSS. È a Odessa per rilevare il bed and breakfast dalla simpatica vecchietta e famiglia e si sta recentemente interessando alla questione cecena e al Daghestan, secondo lui il miglior posto nei prossimi decenni dove investire grazie allo sbocco sul Mar Caspio. Non fatico a credergli...

Al momento di uscire tutti insieme la serata prende una svolta inattesa: il gruppo si spacca in due. Da una parte ci sono quelli del bed & breakfast che andranno a bere al centro della città, dall'altra parte c'è una piccola comitiva (4 persone) formata da Nastya, una ragazza di San Pietroburgo, e i suoi amici tra cui un'altra biondina di Piter e una coppia di fidanzati, lei russa (sempre Piter) lui bielorusso. Decido di stare con quest'ultimi, Luca invece segue il gruppo grande.


Nastya mi chiede ripetutamente perché abbia deciso di seguire loro: io le rispondo di essere un individuo che predilige le situazioni con poca gente. Il ragazzo e le ragazze scherzano sul mio nome, canticchiando continuamente una canzone che si chiama Waleryi, e mi fanno sentire parte del branco scattando tante foto con me, di quelle divertenti in cui le ragazze mi fanno sandwich: foto che non ho mai più rivisto.

Mentre ci beviamo una vodka in un bar chiamato Shkarf ("sciarpa", proprio come in inglese), vengo a sapere con disappunto, anche se non mi stupisce affatto, che Luca qualche giorno prima avesse cercato di mettere una mano dentro le mutande della biondina. Io rassicuro tutti di aver conosciuto Luca in viaggio e che mai farei una cosa del genere.

Insieme a questo gruppo, in cui spunta la fidanzata del simpaticissimo bielorusso (un bravissimo ragazzo biondo che mi ricorda lo Schwarzenegger di Danko senza essere eccessivamente muscoloso), semplicemente bellissima, la classica russa un po' decadente che ho sempre amato, giro cinque locali della città. E beviamo ottimi cocktail a un prezzo ridicolo.

Poi, strafatti di vodka, torniamo al bed & breakfast dove Danko il biondo cucina a tutti degli ottimi pelmeni ripieni di carne che accompagniamo ancora con shot di Zelyonaya Marka (la sua vodka preferita).

È l'ora del weekend e paradossalmente non succede altro che balli, bevute, rientri barcollanti al bed & breakfast. Poi è l'ora di tornare a Chișinău, dove Marina mi porta a uno strambo museo degli animali moldavi e mi fa conoscere la sorella, che a Roma è stata tre volte ospite di una parrocchia.

Sono stanco, molto stanco. Così conosco in modo molto marginale altre persone interessanti nel motel che sta sulla strada dell'aeroporto. C'è uno svedese che si è fatto in bicicletta l'intera tratta Stoccolma - Odessa accampandosi illegalmente ogni volta: raccontava alla milizia ucraina di avere la prenotazione dell'albergo nella cittadina immediatamente successiva a quella in cui venisse fermato (un grande coraggio, davvero ammirevole e invidiabile). C'è un bravo ragazzo scozzese (che mi somiglia anche, capelli lunghi neri) che parla italiano e confida di essere lì solo per la bellezza delle ragazze. C'è una coppia di fidanzati, lei dell'Ucraina orientale (non bella), lui di Nalchik (Russia meridionale), con cui parlo di un po' di tutto, Anche della mia curiosità di visitare la sua città: idea che viene presto cestinata visto che, dai suoi racconti, pare che da quelle parti sia serio il rischio di essere rapiti... non rapinati, proprio rapiti.

Poi arriva il giorno del ritorno... il volo Air Italy stavolta è quasi vuoto, non parlo con nessuno. A Fiumicino invece un funzionario della dogana mi ferma e mi chiede se sia un trafficante di sigarette, se abbia qualcosa da dichiarare. Gli racconto di aver portato solo due bottiglie di vodka: in realtà sono cinque, ma va bene lo stesso. Mi guarda il passaporto e, incuriosito, alle pagine dei visti russi e bielorussi e dei vari timbri mi dice: "vai spesso da quelle parti, vedo!".

Io gli sorrido e rispondo: "e mica so' scemo... le ragazze belle stanno là".

Mi strizza l'occhio e ci scambiamo una risata... e non siamo un doganiere e un viaggiatore... siamo semplicemente uomini.


VP