Per chi ama la letteratura, scrivere racconti, essere cittadini del mondo e riflettere sulla Settima Arte

mercoledì 9 aprile 2014

COS'È EATALY E COSA CI INSEGNA (09/04/2014)

Una comitiva di belle ragazze discutono in inglese davanti a un tozzo di pane e tante fette di salame piccante: non sono sedute su un tavolino brulicante di voci internazionali nei vicoli di Trastevere o a Campo De' Fiori, bensì in un ordinato spazio bianco all'interno di una struttura a Ostiense. Poco più in là, al reparto vini, una solitaria giovane riflette probabilmente su cosa riportare in patria a parenti e amici, in mano ha una mappa di Roma e mi chiedo sinceramente se la stessa si estenda fino a questo quadrante assai poco rilevante per il turismo.

Un posto in cui a tornarmi in mente sono il finale di un Sacco Bello, con Verdone e uno scapolo attempato che partono per la comunista Cracovia, che mai raggiungeranno prima di tappare una perdita al serbatoio, e la depressione che da bambino provavo in quel quartiere pianificato da architetti da gambizzare, in cui la periferia più grigia incontra l'ambizione del trasporto efficiente tra una stazione dei treni imbarazzante e un Air Terminal grottesco.

Proprio in quel punto si erge Eataly, catena alimentare molto diversa dalla concorrenza, simbolo di un'imprenditoria italiana di successo internazionale, tanto che a New York non solo se ne trovano pubblicità a ogni angolo di strada o avenue, ma ha surclassato ogni altro colosso posizionandosi al secondo posto degli edifici più visitati della Grande Mela dopo l'Apple Store.

La mente geniale dietro questo successo esorbitante è Oscar Farinetti, già dirigente dell'UniEuro prima ch'esso venisse venduto al gruppo svizzero Expert, in parole povere quello che portò la stessa azienda dall'essere un magazzino d'abbigliamento (fondata peraltro dal padre Paolo) a una catena di elettrodomestici. Allora Tonino Guerra, testimonial televisivo, raccontava a Gianni che l'ottimismo è il profumo della vita in una delle pubblicità più petulanti della storia del piccolo schermo, sagacemente sbeffeggiata da Ciro il Figlio Di Target, la divertente trasmissione satirica Mediaset di fine anni '90.

Oggi Farinetti è in prima fila nel processo di rinnovo della Repubblica Italiana, fondata su un intellettualismo leggero e produttivo che accomuna Eataly, Baricco, Fuksas, Oliviero Toscani e Sorrentino. Dall'elezione di quel volpone di Renzi, l'Italia si interroga su quale sia la vera strada per uscire dalla crisi e la risposta è un misto di cultura e qualità spinti da marketing e moda per lucidare quel famoso Made In Italy e renderlo al mondo. In questo senso il buon Oscar è un vero profeta: impazza in tutta la penisola con i suoi workshop dispensando valori di positività assoluta, insomma la versione teorica della pubblicità di UniEuro: per avere fortuna nella vita bisogna raccontare solo le cose belle.

È lo Steve Jobs all'amatriciana, paffutello e sorridente, con i baffoni da contadino di fine Ottocento, solo che al posto di essere hungry e foolish ti promette di uscire dalla sua catena sazio e soddisfatto, solo con il portafoglio appena un po' più leggero del normale.

Mentre rimango incantato dalla gigantesca mappa che indica la presenza di Eataly nel mondo (Giappone, USA, Turchia, Emirati Arabi), non posso fare a meno di interrogarmi dove sia la vera genialità in tutto questo, cos'abbia io di sbagliato e cosa di giusto Farinetti per giustificare una tale portata, un successo internazionale così sbalorditivo.

Eataly si basa su un'idea elementare che se qualcuno me l'avesse raccontata esattamente dieci anni fa (nel 2004 aprì i battenti) l'avrei considerata stupidissima: una sinergia di Coop per racchiudere in un'unica struttura l'eccellenza culinaria italiana distribuita in banconi, vinerie, rosticcerie e supermercato.

L'ambiente è asettico proprio per lasciare più spazio possibile alla descrizione dei prodotti e al marketing, sedimentati in slogan tanto immediati e aggressivi, quanto imbarazzanti, che circondano il cliente. "La carne fa bene", riporta il bancone di una rosticceria in cui i clienti assaggiano le specialità cucinate al momento e consumate con la stessa elegante informalità di un sushi bar, con la buona pace di vegetariani e vegani che probabilmente non si lasceranno convincere dal fatto che "tutti i nostri animali sono stati allevati in modo sano, naturale e responsabile".

"La qualità è come la verità: semplice", tuona uno spazio riservato ai salumi e ai formaggi, serviti su piatti bianchi, preso d'assalto da una clientela trasversale, da un nonnetto che gusta il salamino con sognanti occhi chiusi e una mamma che ficca una fetta di mortadella in bocca al figlioletto con molta persuasione: "hai sentito quant'è bona la mortadella a'mamma?". Accanto al bancone un frigo con vini e spumanti seduce la clientela che deve soltanto tirare la manopola e prendere il succo della vita: sul retro è proprio l'immagine di uno champagnino a ricordare a tutti che "la vita è troppo breve per mangiare e bere male". Al reparto delle bevande frizzanti, invece, una gazzosa fatta in casa è venduta a 0.98 € e pubblicizzata come una delle cose più naturali e sfiziose della Terra, una figata. Fa tornare in mente certe avveniristiche puntate di Carosello in cui la sana cedrata abbeverava l'italiano moderno del boom economico. I banconi del mercato non hanno una briciola fuori posto e sembrano degli studi di design e architettura in cui al posto dei goniometri ci sono i pompelmi.

Insomma Eataly sopperisce alle carenze d'informazione della grande distribuzione rendendo il cliente consapevole di quello che mangia e porta a tavola. Prende l'elementare naturalezza del consumare un pasto per trasformarlo, per un po' di euro in più, in una sorta di evento in cui il cliente stesso non è un soggetto passivo, uno che semplicemente compra e mangia, ma amplia le sue conoscenze in materia e, dunque, la sua cultura. Il cibo è sano e, in un'epoca in cui gli OGM riguardano il cibo maggiormente distribuito e in cui la percentuale di tumori è salita drammaticamente, forse tutto questo ne giustifica il prezzo.

È lo stesso spirito di altre grandi prestigiose aziende che hanno conquistato il mercato. Per la Apple, ad esempio, il diritto d'autore è sacro e, per quanto i suoi dispositivi siano ormai aggirabili dal mercato pirata (jailbreak, crack), l'azienda opera affinché il suo cliente non solo paghi molto bene ma si senta anche gratificato dallo scegliere la via della legalità. E non solo, la Apple vende a un prezzo alto un hardware di gran lunga inferiore alla concorrenza, imponendo un "think different" per cui due pezzi magari non eccelsi, ma dalle caratteristiche assortite, possano rendere un risultato assolutamente straordinario con un sistema operativo bello ed efficace tanto da superare quello più potente.

Un altro esempio è Ikea e tutte le aziende affini di bricolage che non solo vendono mobili e accessori, ma obbligano il cliente, come offerta di esperienza, di una gratificazione, a montarli da sé con strumenti ed istruzioni in modo che lo stesso partecipi a un evento culturale. Evento che lo porta ad affezionarsi a una scadente libreria in truciolato e preferirla, per certi versi, alla sua corrispettiva in mogano.

Tutte realtà che hanno a che fare tanto con il proprio settore quanto con l'editoria nel senso più puro del termine: Eataly non sarebbe Eataly se non avesse quelle confezioni, quella pulizia, quel modo di consumare pasti in modo "smart" e moderno. Un fast food dello slow food, con un nome che rimanda a ciò che l'Italia è e, forse, rimarrà per sempre agli occhi esterni: un paese di cibo buono e naturale, di cuochi e di gente che si gode la vita davanti a un buon bicchiere di vino artigianale.

L'intellettualismo, il cinema e le altre arti passano sempre in secondo piano... quando c'è da mangiare.


VP