Per chi ama la letteratura, scrivere racconti, essere cittadini del mondo e riflettere sulla Settima Arte

lunedì 21 gennaio 2013

CHE RAZZA DI GENTE VA A VEDERSI NAPOLI - ROMA AL SETTORE OSPITI (20/01/2013)

Sarà che ho sempre pochi soldi. Sarà che non riesco più a guardarmi allo specchio e chiedere a mia madre ulteriori fondi per viaggi e esperienze, che rappresentano nella mia vita il modo per arrivare alle suggestioni, qualcosa di cui ho bisogno fisiologico. Sarà di sentire mia vita a un punto di svolta e che l'avventura all'estero è fuori dai miei prossimi orizzonti. Allora nei giorni delle feste natalizie, proprio quando esattamente l'anno scorso progettavo il mio secondo viaggio in Russia, decidevo di dovermi inventare qualcosa per trovare le emozioni forti senza prendere un aereo. L'occasione mi si è presenta il giorno della Befana, quando alla ripresa del campionato di Serie A era in cartello Napoli - Roma al San Paolo.

Mancavo dalla città partenopea da quando ero bambino. E a dire il vero non è che il posto mi mancasse: dal mio viaggio del 2004 nei paesi Scandinavi (ovvero da quando ho imparato a amare il nord Europa) ho cercato esattamente tutto ciò che fosse il più distante possibile dal folklore mediterraneo che già a Roma è presente ma che con la napoletanità raggiunge il punto più eclatante.

E poi c'è sempre il problema della sicurezza: ho girato tutta l'Europa orientale, mi sono addentrato in alveari popolari costellati di casermoni pieni di povertà, ho fatto escursioni solitarie in alcuni dei quartieri più pericolosi del vecchio continente (penso a Nowa Huta a Cracovia o al distretto di Praga a Varsavia) dove ho avuto paura delle facce che mi guardavano girovagare. Sono sempre sopravvissuto, ma Napoli (o meglio l'idea di Napoli) mi fa più paura di tutto. Per il mio immaginario sarà sempre più violenta e viscerale di una Mosca o di una Minsk. E non è solo un fatto di telegiornali, camorra, Saviano, Rolex rubati ai turisti (che poi mi chiedo perché ci vadano in giro... ma soprattutto quanta cazzo di gente ha un Rolex?) e omicidi al porto dopo gli sbarchi dalle crociere.

La città che ti obbliga a stare con gli altri, col popolo, con i suoi vicoletti, stradine, gente passionale e che ragiona troppo spesso di pancia, Maradona come un Dio pagano presente in ogni angolo, mi comunica cose avverse al modo di essere di una persona romantica, decadente, perennemente bisognosa di dispersione come me.

Ma stavolta non potevo rifiutare il richiamo dell'avventura: una partita tra due squadre più o meno in forma, il tifo del San Paolo, uno stadio, una città, che odia Roma capitale di una nazione che secondo i napoletani ha sottratto le ricchezze al sud per portarle nel Piemonte industrializzato e infine in tutto il nord.

È da quando vado all'università che ne ho le scatole piene di questa roba: per ottenere crediti e prendere una laurea in Scienze Della Disoccupazione mi sono dovuto sorbire tonnellate di discussioni e tavole rotonde su quanto si vivesse bene a Napoli ai tempi dei Borboni. Il web è pieno di video e testi sull'orgoglio terrone con Youtube invasa di versioni telematiche delle mitiche telefonate di insulti su Radio Radicale negli anni '90. Saggi come Terroni di Pino Aprile hanno scalato le classifiche editoriali sulla scia di Gomorra. A nessuno, forse solo a qualche leghista, viene in mente che nel Novecento l'economia industriale avrebbe avuto la meglio delle realtà bucoliche dei posti dove c'è il sole anche quando piove. Ma di cosa ci si stupisce se persino nell'avanzata America c'è gente che ancora rimpiange la delle ville dei signori del Texas e della Louisiana che volavano via col vento con gli schiavi negri che lavoravano il cotone e il KKK?

D'altronde un mio vecchio amico napoletano, compagno di studi quando mi ero messo in testa di imparare lo svedese, mi raccontava: "da noi l'orgoglio e l'amor proprio sono la prima cosa. A Napoli ci sono il sole e il mare? E allora il sole e il mare devono essere la cosa più importante della vita di tutti". Una cosa oggettiva insomma.

E anche il Napoli e Maradona sono importanti. Tanto importanti che il 10 giugno del 2001, al primo match point del nostro scudetto, che coincideva col primo match point della loro retrocessione, ci fu la guerra totale, tra gente accoltellata, sassi e mattoni lanciati addosso a tutti, stazioni dei treni devastate, buste con dentro sangue di maiale lanciate addosso agli avversari e quant'altro. Mancavano 10 minuti al termine della partita quando l'attaccante del Napoli Fabio Pecchia tirò una punizione che passò sotto la barriera e incontrò la rete grazie all'ennesima prova eccelsa di Antonioli, il nostro portiere dello scudetto. Allora tutti i romanisti tornarono a casa con le pive nel sacco e una guerra da combattere fuori lo stadio. Io me la vidi con i laziali che incontrai sui Monti Tiburtini e che tornavano dallo stadio festanti. Mi urlavano robe tipo "A Delvecchio, vattela a pijà...", in quanto a 17 anni io somigliavo per capelli e forma del viso al Supermarco giallorosso.

Una settimana dopo noi vincemmo lo scudetto e loro andarono in B e mai fu giorno più dolce nella mia vita sportivamente parlando. Ma l'astio dei napoletani nei nostri confronti era ancora vivo e vegeto e si sfogò ancora nell'amichevole estiva del 2003, quando i romanisti nel settore ospiti se la passarono alquanto male tra razzi tirati addosso e intimidazioni, e nella partita di andata di un turno di coppa Italia del 2005, quando un centinaio di ultras romanisti furono bersaglio da dentro la gabbia di un continuo lancio di petardi e persino di coniglio morto.

Insomma una partita storicamente tranquilla... e pensare che dal 1980 al 1987 ci fu un gemellaggio, con diecimila napoletani che venivano a Roma e riempivano completamente la Curva Nord. Un'amicizia interrotta, si dice, da un gesto di Salvatore Bagni al pubblico romanista, ma io non ci ho mai creduto. Lo stesso Bagni, peraltro, poco tempo fa era una voce popolare delle radio private romane bardate di giallorosso.

Ma c'è un fattore che rende l'esperienza ancora più interessante: dal 2010 in poi, ovvero da quando Maroni ha inventato la Tessera Del Tifoso, ovvero un modo piuttosto innovativo di schedare i pallonari della domenica, le trasferte non sono più aperte a tutti. C'è bisogno di quella maledetta tessera, che io da mediocre borghese ho fatto e che gli ultras hanno ostacolato in tutti i modi arrivando persino a insultare quelli che alle prime partite in casa della Roma passavano i tornelli riservati ai tesserati.

Ancora me le ricordo le urla e le minacce di qualche tizio minaccioso mentre passavo i cancelli per andarmi a vedere uno squallido pareggio del secondo infausto anno di Claudio Ranieri sulla panchina della nostra squadra.

Ma allora se gli ultras non possono andare in trasferta, chi è tanto matto da andare in un posto pericoloso come Napoli nel settore ospiti? La risposta la trovo sul web: l'A.I.R.C. (l'Associazione Italiana Roma Club) organizza un pullman per andare al San Paolo. Così decido di andare con loro e capire chi, in tempi di austerity, segue la Roma ovunque e comunque pur essendo non un ultras ma un "tesserato 'nfame".

Mi presento davanti alla sede dell'A.I.R.C. nel primo pomeriggio (la partita è alle 20 e 45) e trovo una serie di macchine incolonnate sulle striscie bianche al centro della piazza. Si tratta di ragazzi tra i 17 e i 24 anni, tutti bravi ragazzi, facce pulite, più qualche altro ragazzo un po' su con l'età per un fatto di sicurezza (insomma gente che nel caso è in prima fila qualora ci fossero problemi). Sul pullman tutti si offrono pizzette e cioccolatini, il clima è davvero cordiale. Dalla radio ci giungono le voci di Tutto il Calcio Minuto Per Minuto e esultiamo per la sconfitta della Fiorentina in casa contro il Pescara e per la clamorosa debacle della Juve a Torino contro la Sampdoria.

Non sappiamo ancora che ci aspetterà una partita in cui la Roma cincischierà come al solito e se ne tornerà a casa con 4 polpette (come dicono in Campania) di Cavani e company sul groppone. Ma l'esperienza è divertente, parliamo e cantiamo. Ci sono persino ragazze sole: Raffaella è una di queste e la cosa incredibile è che per quanto si sia spostata per lavoro da Pomezia a Genova, non può fare a meno di seguire la Roma, prendendosi giorni di ferie e dando buca al ragazzo. È una ragazza davvero simpatica, ci scherzo molto insieme. All'entrata dello stadio (dopo un'ora di sosta sull'autostrada per i controlli della polizia e anche un filmino che ci fanno con biglietti e tessere in mano) ci facciamo tante foto insieme ma non me le manderà mai.

"Allora che altra trasferta te fai? Ce vai a Catania? Ce vai a Palermo? Ce vai a Milano contro er Milan?". Mentre aspettiamo l'inzio del match (increduli del fatto di essere meno di 100 unità al contrario del migliaio di cui si parlava in settimana) tutti già parlano delle prossime trasferte, delle prossime avventure da fare in branco, sempre tutti insieme uniti da una passione. Voli, trasferimenti, treni, pullman, taxi... il gruppo di una settantina di persone studia pedissequamente i dettagli per partite che si giocheranno tra tre mesi. Tutto il loro tempo libero si basa su quello.

Conosco un bravo ragazzo di Ladispoli un po' ombroso e timido come me. Mentre i napoletani entrano negli altri settori e ci insultano,  tirando anche più di un bombone sulla gabbia, noi due ci tiriamo un po' in disparte parlando dei motivi che ci spinge a tutto questo, parliamo della crisi e di come la gente senta il bisogno irrefrenabile di stare in gruppo. Lui gli ultras li ha conosciuti bene: me ne parla come di persone piene di paura che non saprebbero stare da soli un attimo e che nel branco trovano una vera e propria famiglia.

E così è anche per noi. E non importa che la squadra perde 4 a 1... nello spostamento, nell'entrata nella città avversa, negli insulti con gli automobilisti locali, nelle "mignotte" gridati alle donne e negli "ah cojone famme 'na pompa" verso i maschi e infine nell'esperienza finale dello stadio si consuma una vera e propria epica della cultura metropolitana. Un'epica in cui, anche nell'era della tecnologia mobile e dei video amatoriali, non entrano la televisione o altri mezzi d'informazione.

È una dimensione spirituale e temporale fatta di storie come quelle di Raffaella senza cui la gente si sentirebbe più povera. Nonché storie di steward come le due splendide gemelline napoletane, con l'elmetto in testa per i petardi tirati dalla Curva A sulla gabbia, che rapiscono subito la mia curiosità (con tanto di "ma che viene allo stadio pe' rimorchià?" dei miei compagni di fede) e la mia ironia: "ma che ce fanno qua due tipe come voi? Io se ero vostro padre mica ve ce mannavo in mezzo a 'sti scalmanati... piuttosto dovreste sta a fa le vallette in quei programmi tipo TeleA o Tele Vesuvio". Loro ridono e mi rispondono che è solo un lavoretto per mantenersi gli studi. Fanno il mio stesso corso universitario e io, data l'infausta esperienza post laurea, le faccio gli auguri.

La strada per tornare a Roma è buia e tranquilla. Facciamo solo una sosta all'autogrill dove una decina di tifosi del Napoli se la ridono sotto i baffi a guardarci mangiare un cornetto così sconsolati. Ma al ritorno all'EUR ci abbracciamo tutti quanti e ci diamo l'arrivederci... chissà, forse un'altra volta sarà ancora tempo di branco.


VP