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lunedì 31 marzo 2014

COS'È STATO MASTERPIECE E COSA SARÀ (31/03/2014)

Pochi minuti fa è giunta al termine la prima stagione di un reality show RAI a cui avrei potuto partecipare: mamma me lo consigliò, ma la riservatezza e la sensibilità del sottoscritto ebbero la meglio, come quasi sempre d'altronde. Masterpiece è stato un programma sulla letteratura, sulla creazione di libri, sul rapporto tra vita vissuta ed esperienze rielaborate su carta (o per meglio dire su schermo) messe al servizio di prove a tempo di vario genere. Una catena di montaggio di creatività e parole che, a dire il vero, poco ha a che vedere con la solitudine e la lentezza della scrittura, quella che ogni autore di un testo compiuto che superi le 300.000 battute conosce benissimo, e che presenta il dolore della creazione letteraria in modo più raccontato che parte integrante dello spettacolo. Si tende a premiare la velocità d'esecuzione e l'efficacia e non è un caso che all'ultima sfida, quella che ha decretato la vittoria del serbo Nikola Savič con un racconto di formazione ex jugoslavo, ci fossero arrivati due dei concorrenti più sagaci e sicuri di sé fino all'antipatia: il libero mondo premia la furbizia e l'editoria non è da meno.

La struttura del programma prevedeva un primo round di scrittori selezionati per decretare un singolo vincitore di puntata, che al secondo turno si sarebbe sfidato con gli altri colleghi che di volta in volta superavano le angherie dei giudici Di Cataldo (quello di Romanzo Criminale), il meneghino Andrea De Carlo (Villa Metaphora) e Taiye Selasi (La Bellezza Delle Cose Fragili) a fare da contraltare femminile e internazionale. A dare supporto, invece, c'era Massimo Coppola, quello che ricordiamo nei primi anni del decennio scorso seduto su un divano a lanciare i videoclip di Brand New su MTV: nel frattempo il buon Massimo è diventato direttore di una casa editrice (la Isbn) e ha lavorato nell'industria culturale nel modo più accattivante tra format documentaristici sui giovani e tanto altro, in pratica un figo.

Il premio finale è succulento: una pubblicazione Bompiani in 100.000 copie, con un editor a disposizione per migliorare il testo e contatti diretti con la direttrice editoriale della stessa casa Elisabetta Sgarbi, più volte integrata nella giuria nei momenti cruciali.

Il vincitore della prima puntata era Lilith Di Rosa, un giovane romano spiantato con un passato di vagabondaggio e autore di un on the road nichilista che sa molto Kerouac impiastrato di John Fante in salsa italica. È lui che alla terz'ultima puntata delle sfide finali, subito dopo essere eliminato, si sfoga davanti ai riflettori ammettendo a se stesso di non avere talento e che anche senza scrittura un uomo possa "continuare a consumare senza rovinarsi la vita per un sogno": esattamente ciò che passa per il cervello stressato di ogni aspirante scrittore quando la propria predisposizione all'espressione letteraria trova le porte chiuse dell'editoria decorosa. In assoluto il momento più alto di una trasmissione che, tanto per contraddire i blogger letterari che da subito si sono scagliati contro, non è stata così malvagia, ha avuto i tempi giusti e ha spiegato meccanismi che in televisione mai erano stati mostrati al grande pubblico.

Un programma che, tra foggiani che raccontano Zemanlandia (come se sul boemo non ci fosse già una sterminata pila di biografie che continuano a spuntare alla faccia dell'originalità) e bresciani che raccontano di perdizione nella droga, ha la buona fede di mostrare il volto dell'Italia più vera, quella che con un po' di disperata timidezza rivendica la naturale predisposizione all'arte e alla scrittura, quella che troppo spesso viene calpestata. Un'insegnante siciliana esclamava nelle prime puntate "vi rendete conto che siamo costretti a fare per avere una possibilità?!", l'establishment incassa con orecchie da mercante.

Il romanzo migliore, da quello che s'è visto e letto, era quello di Stefano Trucco, un attempato cinquantenne che la mia ex ragazza bollò come maniaco, senza motivo che non fosse per quel paio di occhioni alla Peter Lorre: non credo che la mia ex abbia mai visto M - Il Mostro di Düsseldorf ma tant'è. Il suo era un racconto parallelo con due pugili genovesi specchio di un'Italia drammatica e alluvionata. Trucco s'è dovuto accontentare di un terzo posto e l'ha fatto sorridente ed entusiasta di aver azzeccato il pronostico ad inizio trasmissione: aveva proprio detto "arrivo terzo". La competizione è finita ma le speranze no, c'è molto altro ancora a cui aggrapparsi.

Perché l'aspetto più interessante e per certi versi bizzarro di Masterpiece è ciò che ancora deve venire: ovvero come l'universo editoriale accoglierà i personaggi che hanno incontrato la fiducia del crescente pubblico di seconda serata domenicale. Tutti sanno che le star del piccolo schermo hanno tantissime chance di pubblicare un libro, sia che si chiamino Marina Ripa Di Meana o Antonella Clerici. È molto facile che editori anche medio-grandi possano approfittare del materiale che Masterpiece gli ha fornito per contrastare il rischio d'impresa con autori già conosciuti e i cui prodotti, una volta pubblicati, stimolano la curiosità di tutti quelli che il programma l'hanno seguito dalla prima all'ultima puntata.

In pratica un perdente potrebbe ritrovarsi a pubblicare, magari con meno copie, il proprio amato, sofferto romanzo con Mondadori, Feltrinelli, Adelphi, Einaudi e il resto delle case più pepate. E avere anche più successo del Savič edito da Bompiani.

Tutto ciò ha un solo, unico risvolto: sancisce una volta ancora il predominio della televisione rispetto al libro, l'unico mezzo in grado di dare reale autorevolezza popolare a un personaggio. Ci si aspetta che nei prossimi messi i libri di Di Cataldo, De Carlo, Selasi, Savič avranno un 'impennata di vendite e tutto grazie a Masterpiece, alla televisione senza cui il gioco non varrebbe la candela. Anche nell'era di Internet il popolo italiano si conferma televisivo, come una macchia a cristalli liquidi nel DNA di una coscienza nazionale.


VP