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sabato 13 aprile 2013

VOGLIONO FARCI DIVENTARE TUTTI VENDITORI (e non importa di cosa) (13/04/2013)

Da quando ho iniziato a avere una coscienza politica e (anti)sociale mi sono ritrovato in mezzo a due fuochi continuano a combattere l'uno contro l'altro: c'è chi mi ha sempre detto che lo Stato siamo noi e che quindi i più deboli devono essere aiutati nel loro percorso fisico e spirituale e c'è invece chi mi ha sempre parlato di meritocrazia, di libertà, di spirito d'iniziativa, di una comunità che non dovrebbe ostacolare l'arricchimento dei migliori a danno dei pigri e di chi non ce l'ha fatta a imporsi sul mercato.

Le mie esperienze nel paese dove sono cresciuto e negli altri che ho visitato mi hanno insegnato, o almeno mi hanno mostrato, i lati contraddittori sia del socialismo esasperato che del libero mercato. Il giorno che a Los Angeles mi trovai davanti a un uomo, un ispanico, malato di qualcosa di grave (aveva una gran brutta cera) senza la possibilità di curarsi ha di gran lunga peggiorato il mio rapporto con il capitalismo e con tutte le cose belle che i non bisognosi di assistenza mi hanno sempre sbandierato. A maggior ragione questo problema mi si para davanti come un ostacolo insormontabile dal momento che sono un perenne disoccupato e senza una prospettiva che sia una. Colpa mia, non c'è dubbio... o forse qualche dubbio ce l'ho. A ogni modo sono davvero felice che molte persone riescano a togliersi delle soddisfazioni economiche e spirituali grazie alla loro forza di volontà e alla loro abilità.

E poiché io volevo raggiungere questi grandi esponenti del merito, nonché guadagnarmi qualche soldino per investire ancora di più sulle passioni che mi contraddistingono cercando di vincere le mie battaglie personali contro un mondo che mi ignora, in questi ultimi mesi non ho fatto altro che mettermi in gioco. Di esperienze avute nel mondo del lavoro ne racconterò una, quella che mi ha lasciato ancora più interdetto, quasi sbalordito rispetto alle capacità degli altri e alla mia inettitudine.

Desideroso di lanciarmi in un mercato che esiste, e quindi senza aspettare un concorso pubblico o qualche cavillo statale per aprire una mia impresa personale, ho cliccato giorno e notte sul portale infojobs inviando curriculum a ripetizione. Non molte aziende mi hanno risposto e d'altronde non potrebbe essere altrimenti, visto che il mondo del lavoro di questi primi decenni del XXI secolo sono completamente incentrati sulla programmazione informatica, roba che forse dovrei studiare ma che, proprio per il principio della meritocrazia, mi vedrebbe pur sempre svantaggiato in partenza rispetto a un ingegnere laureato. Comunque un'azienda mi ha fissato un colloquio, per un lavoro sulle linee telefoniche che non ho capito benissimo (d'altronde non si può pensare che chi ha un pessimo rapporto col mondo del lavoro capisca da subito come funzionano provvigioni o altro).

La sede dell'azienda è vicino casa e dopo un'intervista in cui, fingendomi grande estimatore del mondo del privato e della libera impresa, ho dato prova della mia brillantezza e della mia voglia di "mettermi in gioco" (un'espressione che mi ha sempre fatto incazzare), non ho dovuto neanche aspettare un giorno che la risposta è stata affermativa.

Finalmente avevo un lavoro... ma, già dubbioso, è un lavoro? È un lavoro quello che non ti dà la sicurezza di uno stipendio fisso e che teoricamente ti permette di guadagnare da 0 a infinito? Cerco di non buttarmi giù, da buon falso neo-positivista, e inizio fare quello che mi dicono i due giovani ragazzi titolari dell'impresa: il primo una specie di belloccio Ricky Martin, il secondo un neopapà dall'aplomb marcato. Brava gente, bravi ragazzi, un settore che a quanto pare ha un mercato gigantesco (Fastweb, Wind Mobile per le aziende), una professione che teoricamente ti preserva da certi imbarazzi di odiose vendite porta a porta e di un contatto col pubblico diretto e aggressivo.

Purtroppo ci sono le telefonate da fare, quelle con cui dovresti offrire servizi di telefonia aziendale ad avvocati, editori, ingegneri: proprio uno di questi, iscritto alla lista delle persone che non possono essere contattate per offerte commerciali, mi minaccia con insulti, bestemmie e urla con io che provo a calmarlo (tenendo il cellulare a debita distanza) e a congedarmi in modo elegante.

Ma nel campo delle vendite l'eleganza esiste fino a un certo punto... e me ne rendo conto quando, dopo aver gettato la spugna e tornato a vedere film e scrivere recensioni a casa a tempo indeterminato, mi contattano due clienti che inizialmente erano assai dubbiosi ma che infine volevano prendere la mia offerta. Non mi sono fatto problemi a passarli ai miei ex superiori, ripeto, bravissimi ragazzi, che per convincermi della bontà del lavoro mi mostravano felicemente i loro stipendi mensili dai 2000 euro in su. Ragazzi che pensavano che potessi essere bravo per via di una voce (la mia) molto dolce e stimolante, quasi radiofonica: ce l'hanno messa tutta per calmarmi e farmi continuare.

Ma evidentemente io sono uno di quei parassiti della società, uno di quelli che non ha mai in faccia un sorriso aziendale, uno di quelli che non può sopportare la logica, imperante e violentissima di invadere lo spazio privato della gente, portandola a difendersi da me per poi cercare di lavorarla psicologicamente con strategemmi che, poco prima di andarmene, un ragazzo neoassunto di Milano mi ha illustrato in tutta la loro durezza.

È il lavoro lo so, è la dura vita lo so, dovrei essere un uomo lo so...

ma non credo in questo tipo di professioni (anche se ho visto stipendi altissimi da parte di chi fa il venditore da una vita), forse non credo in me stesso e voglio la stabilità di uno stipendio fisso anche basso.

Voi che ce l'avete fatta, voi che odiate i sostegni ai deboli, voi che avreste votato un politico inglese che ha distrutto le certezze della classe operaia e che oggi siete tristi per la sua scomparsa, siate felici della vostra esistenza e dei vostri guagagni. Non biasimatemi.


VP