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sabato 24 maggio 2014

IL FOLKLORE DI SANT'ATANASIO (24/05/2014)

Ogni anno che sto a Roma mi sveglio una mattina soleggiata di maggio e affacciandomi dal balcone trovo il quartiere completamente imbandierato: drappi biancorossi si lasciano carezzare dal venticello primaverile e, se non fosse per il via vai di macchine e le urla dei commercianti e dei carpentieri di sotto, parrebbe di essere tornati in una dimensione bucolica di tassiana memoria. Il quadrante del Tiburtino che m'ha cresciuto diventa il set di una sfilza di processioni e mascherate che precedono l'evento di domenica scorsa, una versione in scala ridotta del Palio di Siena col quartiere diviso in sette aree che corrispondono ad altrettanti simboli che un po' scimmiottano i più prestigiosi senesi.

La manifestazione è organizzata dalla parrocchia di Sant'Atanasio, la Chiesa davanti ai giardinetti pubblici dove mi nutro il metabolismo di raggi di sole fondamentali in questo periodo della mia esistenza. Tanta gente mi guarda e si chiede di che parte sia, da che posto provenga, e quando qualcuno s'avvicina con curiosità rimane sempre stupito dal fatto che, ebbene sì, io sia qui da trent'anni.

La gente del mio quartiere non m'ha mai visto perché io non mi sono mai fatto vedere: fossi stato un ragazzino meno timido e schizzinoso probabilmente avrei giocato a pallone davanti al cortile della parrocchia, ne avrei frequentato i circoli, sarei stato una persona più semplice, tranquilla e sveglia, capace di stare con gli altri e di capire le persone: forse sarei stato più felice.

E forse mi sarei ritrovato nei panni di un ragazzo vestito con abiti medievali che s'accompagna con una bella ragazza che intanto percuote un tamburone. Dietro, altre ragazze con le vesti della contrada lanciano bandiere in alto e partecipano alle coreografie che anticipano il passaggio della statua del Santo, tra la curiosità dei più piccoli accompagnati da mamme e nonne.

Li guardo prima dal balcone di casa, poi dal bancone di una gelateria mentre mi faccio mettere la panna montata sul cono: tutto mi riporta a qualche decennio fa, quando era mia nonna a portarmi a vedere il Palio, sul prato dove ora s'accampano zingari e clandestini (in attesa che venga eretto il nuovo campus della prima Università di Roma), il che mi fu utile a capire la dinamica della corsa dei cavalli e che la mia contrada (la lumaca) fosse straordinariamente più forte della concorrenza. Per il resto potevo tornare alle mie figurine e agli show in TV che non perdevo mai.

Chi ha vinto quest'anno, vi chiederete. Non lo so, al palio non ci sono andato. Fatto sta che la cornice mi stimola una riflessione. Già il Palio di Siena, che ha una tradizione secolare, è obsoleto, non porta più alla città toscana quel turismo di massa che fino a qualche decennio fa accorreva all'evento. Perché in quest'area della suburbia romana, a ridosso della stazione, una parrocchia, anche in piena crisi economica, continua a organizzare, con dispendio di vigili, un palio che attira curiosi e famiglie con bambini senza propri servizi a pagamento? Come si finanzia, con soldi pubblici? E, qualora fosse così, perché varrebbe la pena investire su un evento del genere, perché la gente nell'era di Internet, degli smartphone, continua ad avere bisogno del folklore popolare? 

La risposta potrei trovarla in parte dentro di me, nei motivi per cui ogni anno mi rechi a cantare e respirare fumogeni in una struttura in cui ventidue milionari si fronteggiano. Ma poi capisco che dietro a una punizione di Totti o una chiusura di Benatia c'è una capacità che non tutti hanno, una tattica per vincere, lo studio dell'avversario. Elementi che arricchiscono quel fenomeno popolare che è il calcio di una pseudo-scienza fatta di qualcosa di preciso e riconoscibile.

Cosa può interessare un palio a un bambino se non il fatto di guardare i cavalli? Forse, a pensarci bene, serve più ai nonni della piccola borghesia per tramandare quei valori che nel XX secolo erano propri della classe popolare: perché se ogni nonno ha bisogno di un nipote per celebrare la sua vita e donarne gli insegnamenti, ogni bambino oggi vede nel nonno un simpatico vecchietto che quando ragiona non sa dove parare ed è terrorizzato da questo mondo sempre più avanzato.

I bambini non sono più quelli di una volta e neanche gli amichetti, veri o digitali che siano.


VP