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lunedì 7 aprile 2014

LA LUISS, LA TELEVISIONE E LA CLASSE DIRIGENTE (06/04/2014)

In una scena di The Social Network di David Fincher due gemelli studenti di Harvard, incazzati neri per essersi fatti fregare l'idea geniale da Zuckerberg, vanno a protestare dal rettore della più prestigiosa università al mondo e quest'ultimo li prende a pesci in faccia per avergli rubato del tempo prezioso. "Gli studenti di Harvard non trovano lavoro, lo creano" risponde... e proprio questa frase mi torna in mente ogni volta che valico il passaggio a livello di viale Romania, quando la LUISS apre le sue porte anche ai suoi ex studenti meno meritevoli, quelli che il lavoro non l'hanno trovato e manco se lo sono creato. Insomma a quelli come me, che dentro le aule pulite e i corridoi ordinati tornano a respirare quelle speranze sbandierate, al momento dell'immatricolazione, dalle tecniche di marketing con cui l'università privata presenta i suoi corsi: la promessa di uno "smart future", di "diventare insieme".

La settimana scorsa sono tornato alla LUISS per un evento sulla storia gloriosa della TV italiana, che non è quella privata dello spazio pubblicitario berlusconiano che ci si aspetterebbe in un contesto del genere, ma nientemeno che quella statale, finanziata dal nostro canone per non rimanere (in teoria, molto in teoria) soggiogata dalla politica, ovvero la RAI che con la LUISS ha più di una convenzione, e più di un docente affiliato, senza che ciò avesse aperto uno spiraglio d'opportunità ai suoi vecchi diplomati.

Il nome dell'evento è "Dove Eravamo Rimasti?" e riprende la domanda che fece alla macchina da presa di Portobello un invecchiato e psicologicamente provato Enzo Tortora l'indomani della sua assoluzione dalle accuse infamanti, quelle che riguardarono uno dei casi più neri della storia della Repubblica Italiana. Nel parterre c'è la figlia Gaia, giornalista a La7, che del suo dramma, vissuto con gli occhi di una tredicenne, racconta i particolari. Si parla anche di Capaci, della tv del dolore, delle magagne attraverso cui la TV di Stato passava dal suo ruolo pedagogico ("non era mai troppo tardi" per alfabetizzarsi) a quello di puro intrattenimento, con la concorrenza privata mattatrice e assolutamente all'avanguardia. Si parla di bianco e nero e colori, di Renzo Arbore e di Scommettiamo Che?, con Fabrizio Frizzi e Milly Carlucci che ne dispensano aneddoti e Paolo Bonolis (anche mio docente all'epoca) che commenta con sagace irriverenza.

Nel mentre intervengono anche i grandi nomi della LUISS, i responsabili della formazione di quelli che saranno i "futuri esponenti della classe dirigente" e tutti si mostrano sicuri, decisi, tosti: la crisi non è altro che uno stupido ostacolo da scavalcare con un elementare sforzo e, davvero, avrei voluto che gli esponenti dell'università avessero avuto lo stesso atteggiamento quando il celebre ed efficientissimo placement office mi garantiva uno stage. A liberare l'università da questo vincolo fu la disgraziatissima riforma Fornero, quella che noi disoccupati ancora ringraziamo come i minatori inglesi facevano con la Thatcher in uno splendido film con Ewan McGregor.

Avrei voluto che la LUISS si dimostrasse un'università che avesse a cuore le sorti dei suoi ex studenti, che rinnovasse la propria credibilità agli occhi di quella piccola borghesia dalla quale vengo e che vede nell'università privata una piattaforma autorevole per il miglioramento della propria condizione: quella fiducia su cui la LUISS fa leva ogni anno per vendere i suoi carissimi corsi.

Ma probabilmente la LUISS non ama i piagnistei, né si lascia commuovere o scalfire dalla sensibilità e dalla rabbia di persone come il sottoscritto: probabilmente i dirigenti LUISS vivono in una dimensione parallela, quella con tante stelle e, soprattutto, tante strisce che permettono di sognare ed esaltare i miti del successo capitalista, il self made man che mai diventeremo a meno di scendere a patti con un mercato che deforma tutte le identità.

Mentre salutavo con affetto la guardia dell'entrata, vecchio compagno di discussioni calcistiche, pensavo con quale coraggio un'istituzione, che ha come direttore generale un uomo della levatura di Pier Luigi Celli, possa promettere ai suoi studenti di far parte di una fantomatica classe dirigente del domani per poi lasciarli in balia del mercato. Un mercato in cui regna l'incertezza e che non può essere davvero l'unica piattaforma a disposizione dei singoli individui per crearsi non tanto una felicità, quanto una credibilità, quella minima per sopravvivere.

Poi però ricordavo di aver visto qualche giorno fa in libreria un'edizione Mondadori del buon Celli che intitolava: Comandare È Fottere. Manuale Politicamente Scorretto Per Aspiranti Carrieristi Di Successo.

E allora pensai che è proprio vero: gli squali hanno i denti e neanche li nascondono.


VP